Internazionale

Iran, il pugno duro del regime tradisce la sua paura

Poliziotti iraniani nelle strade di Teheran foto di Abedin Taherkenareh/EpaPoliziotti iraniani nelle strade di Teheran – Abedin Taherkenareh/Epa

Il velo strappato Blindata la città natale di Mahsa Amini, centinaia di arresti e intimidazioni. Ma iraniane e iraniani protestano lo stesso. Nelle città si urlano slogan contro il governo, prigionieri in sciopero della fame

Pubblicato circa un anno faEdizione del 17 settembre 2023

Il popolo iraniano è stato il sorvegliato speciale del suo regime durante la ricorrenza della morte di Mahsa Amini che, un anno fa, ha incendiato le rivolte in tutto il paese e dato inizio al movimento “Donna, Vita, Libertà”.

LE AUTORITÀ hanno fatto l’impossibile per garantire che non si ripetessero le manifestazioni che hanno travolto il paese l’anno scorso. La città natale di Mahsa Amini è stata blindata dalle forze di sicurezza, tutte le strade verso il cimitero di Aichi, dove è sepolta, sono state bloccate per impedire alle persone di radunarsi attorno alla sua tomba. Secondo gli attivisti è stata addirittura aperta una delle valvole della diga di Cheragh Vis per bloccare le vie secondarie di accesso al cimitero. Secondo alcune agenzie di lingua persiana all’estero, le forze di sicurezza hanno sparato contro un giovane di 27 anni, ferendolo gravemente.

Il dipartimento di Intelligence ha proibito alla famiglia di Mahsa di uscire di casa e partecipare alla cerimonia religiosa tradizionale dell’anniversario, come avevano annunciato in precedenza. Un sms inviato dal dipartimento d dell’Informazione della provincia del Kurdistan a tutta la cittadinanza avvisava che qualsiasi tentativo di raduno avrebbe avuto conseguenze legali.
Non è stato tanto diverso nelle altre città del paese. La sicurezza è stata enormemente rafforzata nella capitale e nelle città più importanti. Per settimane sono piovuti messaggi di ammonimento, via sms, alla popolazione. Sono stati arrestati centinaia di attivisti, espulsi dalle università molti docenti critici, è stato proibito ai media di parlare dell’anniversario. Secondo le agenzie statali, solo sabato, sono stati arrestati un centinaio di «elementi affiliati a gruppi terroristici» e «provocatori di disordini» in Kurdistan, Isfahan, Fars e Ardabil.

MALGRADO il pesantissimo clima di terrore creato dai servizi di sicurezza, gli iraniani non sono rimasti inattivi. Durante la notte di venerdì, in molti quartieri di Teheran, si sentiva l’urlo di slogan anti governativi che hanno riempito anche i muri della città. Molti prigionieri politici hanno iniziato lo sciopero della fame a sostegno del movimento, tra cui Mustafa Tajzadeh, ex ministro degli Interni sotto l’amministrazione del presidente Khatami, personaggio di punta dei riformatori all’interno del Paese. Le prigioniere hanno bruciato i loro veli nel famigerato carcere di Evin e altre prigioni iraniane. Sono state divulgate decine di dichiarazioni dei collettivi universitari e organizzazioni sindacali a sostegno del movimento e di denuncia dell’ oppressione statale. La chiusura degli esercizi pubblici e bazar nelle città curde è stata quasi totale. I più coraggiosi si sono radunati in piccoli gruppi a Teheran, Mashad, Karag. Ci sono stati sporadici scontri all’università della capitale.

«HANNO PAURA di noi, sanno che se rallentano lo stato di terrore che hanno creato, scenderanno in piazza milioni di persone per protestare» dice M.N., studentessa universitaria. «Mi hanno fermata, nell’ottobre 2022, durante le proteste. Mi hanno picchiata, umiliata e tenuta 5 mesi in carcere ma io non rimarrò in silenzio e non vado da nessuna parte. Sono qui per riprendere la vita che mi stanno rubando».

Mentre i familiari di più di 500 vittime sono stati costretti al silenzio, Ebrahim Raisi, presidente della Repubblica islamica, ha incontrato le famiglie di una dozzina di membri delle forze di sicurezza che hanno perso la vita durante le proteste. Raisi ha continuato ad accusare i paesi avversari di avere fomentato i recenti disordini: «È fallito il vergognoso progetto del nemico volto a destabilizzare il Paese», si legge in un comunicato della presidenza.

«SE I MANIFESTANTI vengono riconosciuti dalla polizia la loro vita e quella dei loro famigliari diventa un inferno. È una probabilità molto più tangibile dell’anno scorso, considerando che ora le forze di sicurezza sono molto più organizzate e che vengono usate videocamere ad alta definizione per il riconoscimento facciale. Vengono accusati di attentato alla sicurezza dello Stato. Rischiano pesanti multe e pene detentive e le loro famiglie sono costrette a spendere una fortuna per assistere i loro cari. Alcuni dei miei assistiti hanno dovuto vendere la loro unica casa per tirare fuori i figli dal carcere. Il potere giudiziario viene usato per schiacciare gli oppositori a qualsiasi livello. I nostri giovani non sono incoscienti, sapranno usare metodi efficaci per combattere la dittatura senza mettere a repentaglio la loro vita e quella dei loro famigliari in questa lunga battaglia», dice T. Fatemi, avvocata e attivista dei diritti umani.
Le manifestazioni di solidarietà con il movimento “Donna, Vita, Libertà” hanno superato i confini dell’Iran. Malgrado, la frammentazione delle organizzazioni dell’opposizione iraniane all’estero, in molti paesi del mondo gli iraniani della diaspora sono stati promotori di tantissime iniziative per ricordare il sacrificio di Mahsa Amini.

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