L’insurrezione del 6 gennaio 2021 è stata la manifestazione della violenza insita nel populismo trumpista, la conflagrazione inevitabile e annunciata del suo accumulo di rancore, prevaricazione e machismo. Le immagini dell’assalto a Capitol Hill sono entrate nel canone iconografico della storia contemporanea al pari degli attentati dell’11 settembre. Riprese da centinaia telecamere e telefoni, costituiscono una cronaca in soggettiva degli eventi di quel giorno e una specie di panopticon della violenza eversiva di un fascismo americano mai arrivato così vicino al cuore del potere
Il materiale è stato visto e ripetutamente trasmesso, assemblato in documentari e reportage televisivi riempiendo interi canali youtube e le audizioni pubbliche a Washington della commissione parlamentare che da mesi indaga su eventuali responsabilità. A questo elenco si aggiunge ora Insurrection, il film d’esordio del fotografo Andres Serrano, noto come l’autore della serie profondamente disturbante The Morgue, e di Piss Christ, foto di un crocefisso immerso nell’urina che negli anni 80 divenne simbolo di trasgressione e provocazione artistica.

PRODOTTO dal collettivo britannico a/political, il film – che verrà proiettato oggi al festival Lo schermo dell’arte di Firenze (ore 21, cinema La Compagnia) – inizia con un prologo di alcuni minuti di repertorio storico montato sulle note di una ballata di Bob Dylan (You ain’t goin’ nowhere). In ordine sparso vediamo lotte sindacali, scontri razziali, la bandiera di Iwo Jima, linciaggi, Rosa Parks, Fidel Castro, Malcolm X, l’atomica e un astronauta che balla sulla luna. La sensazione è di un assemblaggio arbitrario, come una sigla o uno spot pubblicitario. Ma le sequenze stanno per incupirsi: monumenti di Washington e Colombo divelti, manifestanti Blm che bruciano la bandiera americana Biden che inciampa e quella, sconvolgente, oscena e gratuita, dell’esecuzione di un prigioniero da parte dell’Isis – tutto montato sulla voce di Trump che a posteriori giustifica le azioni dei suoi patrioti.
L’effetto è a dir poco ambiguo, al punto che il Prince Charles Cinema di Londra – dove il film era programmato la settimana scorsa – ha annullato la proiezione, denunciandolo come prodotto filo trumpista. Serrano respinge categoricamente l’accusa ma al Guardian ha professato anche l’ammirazione per il carisma di Trump e dichiarato di considerare «propaganda» l’arte politicamente schierata e di preferire un«lavoro più ambivalente, complicato e pregnante». A questo scopo – apparentemente – Insurrection è inframezzato da cartelli con didascalie copiati da quelli di Nascita di una nazione, ognuno recante la firma di Trump. L’allusione al controverso capolavoro di Griffith rimanda presumibilmente a un’affinità razzista del movimento trumpista. Se l’intento è questo, Serrano non vi dà alcun seguito. Invece si prolungano a dismisura le scene dell’assedio dei «patrioti» al Congresso, specie della folla che spinge sui cordoni di agenti che tentano di proteggere gli ingressi, prima di venire sopraffatti. L’idea, ha affermato l’artista, era quella di fornire una «esperienza immersiva» in cui i protagonisti parlassero per sé.

MA IN ASSENZA di un intervento editoriale – o di una voce artistica – la «semplice testimonianza» somiglia a un voyeurismo sensazionalista. Soprattutto con le sequenze finali che documentano l’uccisione di Ahsley Babbit, una manifestante che stava tentando di forzare le porte dell’aula della Camera, da parte di un agente di polizia. Anche qui la presunzione di obiettività è compromessa dallo sperticato elogio di Babbit da parte di Trump, unica voce inserita da Serrano.
Si possono comprendere le perplessità che ha suscitato in Inghilterra. Se non per una possibile faziosità, comunque per il lecito sospetto di una trasgressione sensazionalista e fine a se stessa. L’insurrezione trumpista meriterebbe uno sguardo artistico più incisivo.