Sul campo, come era prevedibile, hanno vinto gli inglesi 6-2. La partita dei diritti non ha invece avuto storia. Il coraggio dei calciatori iraniani sarà una delle pagine da ricordare dei discussi e discutibili Mondiali qatarioti. Non hanno cantato l’inno nazionale. Tesi, in silenzio, alcuni commossi: così, platealmente, hanno deciso di manifestare il dissenso nei confronti del regime violento, sanguinario, degli ayatollah, che va avanti da mesi tra omicidi (sono morte 419 persone secondo Human Rights Activists) e repressioni.

Non tutti in tribuna hanno apprezzato, sono piovuti fischi, ma c’è stata anche una donna, in un gruppo di tifose iraniane inquadrate dalle telecamere, che è scoppiata in lacrime. In Iran lo stadio le sarebbe stato vietato.

Diversi giocatori della nazionale avevano preannunciato che ci sarebbero stati gesti a sostegno dei manifestanti. Il portiere Hosseini, poi uscito per uno scontro fortuito con un compagno, aveva espresso le condoglianze alle famiglie delle vittime del regime. La sua foto-profilo sull’account Instagram e quella dell’attaccante Vahid Amiri sono nere in segno di lutto.

IL BOICOTTAGGIO DELL’INNO prima del via alla gara con gli inglesi è solo l’ultima tappa del dissenso espresso da buona parte degli atleti iraniani. Zobeir Niknafs, centrocampista dell’Esteghlal (campione d’Iran) si è fatto immortalare mentre si rasava i capelli, gesto-simbolo della protesta popolare. La squadra ha protestato contro le violenze sulle donne anche in un’amichevole prima della Coppa del Mondo in Qatar, contro il Senegal, con i giubbotti neri durante l’inno a coprire le insegne nazionali. Poi con il Nicaragua le prove generali dell’ammutinamento silenzioso di ieri, alle note dell’inno.

La reazione dei tifosi iraniani sugli spalti al silenzio dei calciatori sull’inno nazionale (Ap)

Nel corso della partita con gli inglesi ha trovato spazio per qualche minuto anche Sardar Azmoun, il più forte attaccante asiatico dai tempi del mito Ali Daei, che si è visto ritirare il passaporto dal governo iraniano. Azmoun, che gioca nel Bayer Leverkusen, è stato uno dei primi calciatori della nazionale ad invitare attraverso il suo profilo Instagram da 5 milioni di follower alla difesa delle donne ad ogni costo. Non si è a conoscenza mentre scriviamo delle eventuali ripercussioni al “silenzio” inscenato sul campo ieri, ma il rischio è alto: Teheran non ha mai tollerato atleti indisciplinati a rappresentare la Repubblica islamica.

DI SICURO È STATA ENORME – in termini di coraggio e consapevolezza del momento storico che richiederebbe gesti forti – la distanza tra i calciatori iraniani e i colleghi inglesi. Poche ore prima l’Inghilterra aveva deciso di innestare la retromarcia sulla fascia con i colori arcobaleno e la scritta One Love sul braccio del capitano Harry Kane, in onore della comunità Lgbt. Appena la Fifa ha minacciato ripercussioni, punizioni anche soft (l’ammonizione automatica dei calciatori), la federcalcio inglese si è affrettata a spiegare che non era possibile portare avanti quel tipo di protesta.

Si sono così, di colpo, raffreddate le istanze solo in apparenza bellicose anche di Galles, Svizzera, Olanda, Germania, Danimarca. Calciatori anestetizzati dal potere della Fifa, che su questo ieri è stata condannata anche da Amnesty International. Kane, così come il portiere della Germania Manuel Neuer e altri capitani di nazionali europee, si erano detti pronti a subire le conseguenze di un gesto simbolico. L’ardimento però è subito sparito. La fascia l’ha indossata Alex Scott, presentatrice della Bbc. La Fifa invece ha bloccato un collega statunitense che intendeva indossare una maglia arcobaleno in tribuna per la partita di ieri sera, Stati uniti-Galles.