Indonesia, «simpatizzante» dell’Isis ferisce il ministro della sicurezza
Attacco con il coltello Wiranto è un personaggio che ha percorso la storia politica recente del paese, spesso con un ruolo di primo piano
Attacco con il coltello Wiranto è un personaggio che ha percorso la storia politica recente del paese, spesso con un ruolo di primo piano
Succede dopo l’inaugurazione di un nuovo edifico dell’Università di Pandeglang, Giava occidentale. Il ministro per la sicurezza Wiranto viene avvicinato da un giovane che sembra voglia stringergli la mano ma invece è armato di coltello. Dà due coltellate al ministro e una a un ufficiale che è con lui. Tutto dura pochi secondi. L’uomo viene arrestato e con lui una donna. Secondo la polizia l’uomo Syahril Alamsyah, 31 anni di Medan è un simpatizzante dello Stato islamico. Con lui in manette finisce anche la moglie, Fitri Andriana, di soli 21, di Brebes, Giava centrale.
Ci sono due elementi forti in questa storia che per Wiranto e l’ufficiale finisce bene (anche se il ministro è stato trasferito con urgenza in un ospedale della capitale). Il primo è che, sempre che siano veri i sospetti su Syahril, l’Isis in versione indonesiana – già apparso nell’arcipelago con azioni eclatanti in passato – avrebbe segnato un punto a suo vantaggio in un Paese dove attacchi simili sono una rarità e dove le misure di sicurezza sono elevate. Il secondo è il personaggio. Wiranto non è solo un ministro: candidatosi anche alla presidenza, riconfermato dal presidente Jokowi ministro per la sicurezza (e qui ci sta anche la beffa dell’Isis!) è un uomo che ha attraversato tutte le stagioni della storia recente. In modo controverso ma riuscendo sempre a ritagliarsi un ruolo di primo piano.
Questo ragazzo del ‘47 (ha 72 anni) comincia la sua carriera con gli studi all’Accademia militare per entrare poi nell’esercito. Ci vuole un po’ ma nel 1985 entra a far parte del corpo dell’élite Kostrad – il comando strategico dell’Arma – una formazione adesso di circa 35mila uomini che è un trampolino di lancio. Il colpaccio è del 1989 quando viene scelto come «aiutante di campo» del presidente Suharto, padre padrone del Paese. Da lì è solo discesa: comandante del Kostrad nel 1996, l’anno dopo diventa capo di Stato maggiore dell’esercito.
Nel febbraio del ‘98 diventa il comandante in capo dell’esercito e sono di quel periodo due fatti molto rilevanti. Il primo è la caduta del dittatore. È lui a mediare e a far decidere il vecchio Suharto a farsi da parte nel maggio del 1998 mentre i dimostranti invadono le piazze. È un gesto che eviterà un bagno di sangue. Suharto va, Wiranto resta. E durante l’interim di Habibie, il vice presidente subentrato a Suharto, il generale diventato ministro della Difesa e mostra però la sua faccia peggiore. È lui che verrà messo sotto accusa dopo l’epopea del 1999 che vedrà la provincia orientale di Timor andare verso il referendum per la secessione da Giacarta. Appoggia le milizie filo indonesiane che si sporcano le mani di sangue. Del resto, da comandante dell’esercito era a lui che faceva capo la macchina repressiva dello Stato da Timor ad Aceh, da Sumatra a Papua. Nel febbraio del 2003 verrà accusato dal tribunale misto di Dili (timorese e internazionale) di crimini contro l’umanità. Processo mai avvenuto.
Poi le varie candidature politiche e un posto come ministro coordinatore per gli affari politici, legali e di sicurezza col gabinetto Wahid (1999–2000). Posto riconfermato da Jokowi nel luglio 2016.
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