Nell’ultima udienza pubblica tenuta a Washington il coup de théâtre è stato il voto in diretta per convocare infine lo stesso Donald Trump a testimoniare davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul tentato golpe del 6 gennaio 2021.

Prima del colpo di scena, la nona, e probabilmente ultima, audizione in quattro mesi non ha avuto testimonianze in aula ma ha preso la forma di un montaggio di documenti video e testimonianze registrate da parte, come ha sottolineato il presidente della commissione Bennie Thompson, interamente da personalità repubblicane.

IL FORMATO è stato quello di una specie di documentario annotato e commentato in diretta dai commissari per ripercorrere gli eventi di quel fatidico giorno e dei mesi che l’hanno preceduto. Fra i materiali inediti visti ieri, clip video dei parlamentari sotto assedio, rifugiati nelle segrete di Capitol Hill.

Altri spezzoni sono stati tratti da un vero documentario danese (A Storm Foretold) in cui lo stratega complottista Roger Stone conferma le tappe del progetto premeditato messo in atto da Trump per sovvertire le elezioni: dichiarazione immediata di vittoria e denuncia di brogli inesistenti, pioggia di ricorsi in tribunale (61 respinti su 62 presentati), tentate corruzioni di amministratori elettorali, la pressione sul vicepresidente Mike Pence per respingere il verdetto del collegio elettorale e l’estremo tentativo con la violenza dell’assalto fisico al parlamento.

La tesi è stata corroborata in video da personaggi come l’ex direttore della campagna Trump, Brad Parscale, e Steve Bannon che il 5 gennaio anticipava l’epilogo: «Domani scoppia l’inferno, allacciatevi le cinture!».

ANCHE SE TUTTI I MESSAGGI intercorsi quel giorno fra gli agenti del servizio segreto sono stati misteriosamente cancellati, la commissione ha presentato numerose testimonianze sul rischio di violenza che il secret service avrebbe dato a Trump quel giorno prima che gli eventi inevitabilmente precipitassero. Fra i nuovi documenti acquisiti, email trasmesse dall’intelligence alla Casa bianca che avvertivano, già dieci giorni, prima del piano delle milizie per invadere i locali del Congresso.

Altri messaggi fra agenti di polizia quel giorno hanno documentato un crescendo di allarme per le numerose armi che circolavano fra la folla. Al centro di ogni narrativa un Trump fosco, senza scrupoli, connivente se non mandante, e sempre più disperatamente deciso a rimanere in carica che inveiva contro i traditori nel suo campo e giungeva infine ad usare violenza fisica contro la propria scorta che si rifiutava di portarlo a guidare la folla armata sulle scalinate del Congresso.

IL TUTTO È SERVITO per delineare un’ultima volta agli americani che si apprestano a votare l’8 novembre al midterm, un quadro unitario del primo ed unico tentato golpe della storia nazionale. Una sorta di requisitoria prima del rapporto finale e la dissoluzione della commissione: in caso di una (probabile) riconquista della camera da parte del Gop, i repubblicani hanno già preannunciato una inchiesta di rappresaglia su questa commissione.

Liz Cheney, repubblicana di ferro ma acerrima nemica di Trump ha avvertito del pericolo di nuovi tentativi repubblicani di eversione alle prossime elezioni – riferimento al sistematico posizionamento di «fedelissimi» Maga in posizioni strategiche. «Le nostre istituzioni tengono solo quando al loro interno ci sono uomini e donne di buona volontà», ha detto Cheney che, attaccata da Trump, ha perso le elezioni ed è parlamentare uscente.

Anche se la Commissione ha sostenuto di aver dimostrato «la sostanziale colpevolezza di Donald Trump», questa non ha poteri esecutivi – cioè non può formalizzare procedimenti penali per eventuali specifici reati commessi dall’ex presidente.

Questa è una prerogativa del ministro di Giustizia di Biden, Merrick Garland, che si è finora mostrato restio ad incriminare Trump e ha preferito procedere contro i singoli manifestanti (ad oggi oltre 900 arresti e centinaia di condanne), compresi diversi miliziani degli Oath Keepers e dei Proud Boys rinviati giudizio per associazione sediziosa. Anche la convocazione dello stesso Trump annunciata oggi è quindi probabilmente destinata a rimanere simbolica, ma anche ad aggiungersi alla crescente lista di procedimenti a suo carico.

DA QUANDO la Commissione ha iniziato i lavori, Trump è stato oggetto di casi che hanno in parte preso sopravvento nell’opinione pubblica. Fra questi un processo per frode fiscale a New York, tentata ingerenza nel voto in Georgia, e l’affare dei fascicoli top secret illecitamente sottratti agli archivi a fine mandato e trasferiti nella “reggia” di Mar A Lago – caso sul quale ieri la Corte suprema ha respinto la richiesta di intervenire formulata dai legali di Trump – e perfino uno per violenze sessuali intentato dalla giornalista Jean Carroll.