Per anni abbiamo inseguito il sogno di un’inflazione «inferiore ma vicina al 2%», ma, nonostante il fiume di denaro immesso nel sistema dalla Bce dal 2015 in poi (1200 miliardi solo all’Italia), il miracolo non c’è stato. Sarebbe stata un’inflazione «al punto giusto».

Un’inflazione che non avrebbe sconvolto gli equilibri «naturali» del mercato. Peccato però che quasi mai l’offerta – in questo caso di denaro – determina la sua domanda. «Si può portare il cavallo alla fontana, ma non lo si può convincere a bere», avrebbe ammonito Lord Keynes. E così è stato. Finché non è arrivata la pandemia. E poi la guerra. No, i due eventi non hanno convinto il cavallo a bere. Consumi e investimenti sono rimasti al palo, come i salari (in Italia più che altrove), ma, in compenso (si fa per dire), è aumentato il prezzo delle materie prime energetiche ed alimentari. E d’incanto è arrivata pure l’inflazione.

Troppa e non per eccesso di domanda. Nella zona euro, a giugno, è stata rilevata all’8,6% su base annua (8% in Italia). Non era così dal 1986. Milioni di persone, con gli stessi soldi in tasca, comprano meno beni di qualche mese fa. Nel breve periodo però c’è anche chi può guadagnarci. Chi riversa in maniera più che proporzionale i maggiori costi di produzione sui prezzi finali, ma anche i commercianti al dettaglio (anticipano la tendenza rialzista dei prezzi) e, addirittura, lo Stato (rapporto debito/pil più favorevole). Per non parlare dei fondi, speculativi perché scommettono sulla variazione del prezzo. Ma tant’è. E’ il momento della banca centrale, la cui missione principale è il «mantenimento della stabilità dei prezzi».

Gli obiettivi sociali (occupazione, equità) vengono dopo. Così, Christine Lagarde ha parlato di nuovo: d’ora in poi le banche pagheranno più caro il denaro della Bce. Il «tasso guida» da zero passa allo 0,5 per cento, mentre quello «marginale» (per le banche in difficoltà) e quello sui depositi, passano rispettivamente dallo 0,25 allo 0,75% e dal -0,50 allo 0,00%. Scelta più restrittiva di quanto ci si aspettava. In compenso, arriva lo scudo anti-spread (Transmission Protection Instrument, Tpi). Uno strumento flessibile per contenere i differenziali di rendimento tra i titoli di Stato dei Paesi dell’eurozona.

La decisione arriva dopo lo stop agli acquisti netti nell’ambito del vecchio quantitative easing (salvo reinvestimento dei rimborsi dei titoli in scadenza, come per il piano pandemico Pepp). Un graduale ritorno alla politica monetaria «convenzionale». Ma a quali condizioni la Bce comprerà i titoli di Stato dei paesi sotto pressione? Sostenibilità del debito e assenza di gravi squilibri macroeconomici, rispetto degli impegni assunti col Recovery fund (valutazione di sostenibilità e sorveglianza affidate alla troika, affiancata dal Mes). Condizioni severe, ma non è chiaro cosa significhi esattamente fino a quando il patto di bilancio rimarrà sospeso. È chiaro, invece, che gli acquisti ci saranno solo se il deterioramento delle condizioni di finanziamento (interessi più elevati) non dipenderà dallo stato di salute complessivo dell’economia (i fondamentali devono essere in ordine).

Ma torniamo ai tassi. L’idea è semplice: se il denaro costa di più, imprese e famiglie ne chiederanno di meno in prestito. Meno consumi, meno investimenti, meno inflazione (benefici anche per l’euro). Ma se l’inflazione non ha a che fare con il surriscaldamento dell’economia, siamo sicuri che la via della stretta monetaria sia quella giusta? Potrebbe accadere che la politica monetaria restrittiva assecondi il ciclo (stagnazione, recessione) senza combattere l’inflazione, la cui origine è per così dire «esogena».

Rischi per l’Italia? Quello di una tempesta perfetta. Il prolungarsi del conflitto russo-ucraino aggrava la crisi energetica e di conseguenza le tensioni inflazionistiche. L’alta inflazione si combina ad una crescita bassa che sfocia in una nuova recessione. Le decisioni della Bce si rivelano pro-cicliche, il debito finisce nel mirino della speculazione. A quel punto il dilemma: sostenere l’economia o rassicurare i mercati con l’austerità? I falchi di Bruxelles e di Francoforte spingeranno ovviamente per questa seconda strada (Moody’s già parla di «difficoltà a trovare un accordo sul bilancio 2023»). Quella che porta dritto alla catastrofe sociale. Nondimeno, per non assomigliare agli «economisti-teologi» di cui parlava Marx in Miseria della Filosofia, per adesso limitiamoci a fare gli scongiuri.