Internazionale

Incitamento all’insurrezione, messa in stato d’accusa per The Donald

Incitamento all’insurrezione, messa in stato d’accusa per The Donald

Fa' la valigetta Pence ha rifiutato di rimuovere il suo capo per manifesta incapacità a governare

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 14 gennaio 2021

Donald Trump viene messo in stato d’accusa. Sette giorni dopo l’assalto squadrista a Capitol Hill, sette giorni prima del giuramento di Joe Biden, scatta il procedimento di impeachment per incitamento all’insurrezione. Non serve a mandar via un presidente eversivo, serve a evitare che ritorni: se passa l’impeachment, all’uomo che disse «combattete come l’inferno o potreste non avere più un paese» sarà proibito ogni incarico pubblico.

Il vicepresidente Pence ha rifiutato di rimuovere il suo capo per manifesta incapacità a governare. Lo ha fatto con una lettera alla speaker della camera Nancy Pelosi mentre il parlamento dibatteva proprio della richiesta ufficiale di applicare il 25esimo emendamento della Costituzione. Non obbedisce più ciecamente, Mike Pence, ma non è disposto a mandare al rogo il suo leader.

Quindi tocca all’impeachment, un documento di un solo articolo che sarà votato da ogni democratico e da molti repubblicani. Quali e quanti, è uno degli interrogativi. La fuga dal presidente non è un esodo biblico, è stupefacente ma Trump conta ancora amici e alleati anche in quel parlamento preso d’assalto, deputati che lo hanno difeso berciando che «la vera violenza è quella di Antifa», il movimento progressista, o che lo stato d’accusa «è solo una vendetta dei democratici». E cosa doveva fare di più, Trump, bombardare la Moneda? Dare fuoco al Reichstag?

Ieri lo ha abbandonato anche il capogruppo repubblicano alla Camera Kevin McCarthy, ma quella che guida la carica è Liz Cheney, la figlia del cattivo ufficiale del governo Bush, quel Dick Cheney che quasi da solo fece la guerra all’Iraq. È il secondo impeachment contro Trump, mai nessuno come lui – il precedente, per aver ricattato l’Ucraina in cambio di notizie vere o fasulle sui business del figlio di Biden, era stato affondato nel febbraio del 2020 da un senato trumpista.

Questa volta rischia grosso. Anche se dopo il voto della camera (nella notte in Italia) non toccherà subito al Senato: il leader repubblicano Mitch McConnell – ex fedelissimo ora in aperto conflitto con Trump – ha già detto che non userà i poteri speciali per convocare i senatori prima del giuramento di Biden.

L’impeachment potrebbe passare, dunque, ma contro un ex presidente. Il giorno del giuramento diventa un giorno del giudizio, e mette paura. L’altro giorno si è dimesso Chad Wolf, il capo della Homeland Security, l’uomo che avrebbe dovuto proteggere il Campidoglio e che avrebbe dovuto organizzare la protezione del giuramento di Joe Biden, il 20 gennaio.

Proprio il momento per lasciare: 15mila soldati della Guardia nazionale sono già a Washington, tutti armati, compresi quelli schierati dentro il grande palazzo neoclassico di Capitol Hill violato la settimana scorsa. Le foto dei soldati che bivaccano nei corridoi, tra vecchie statue di padri fondatori e nuovi metal detector, sono più esplicite di ogni editoriale – di aula sorda e grigia e di bivacco di manipoli, in Italia abbiamo già sentito. Con il Fbi che parla di possibili attacchi ai Campidogli di tutti i 50 stati, di cecchini, di aerei suicidi e di altri cortei violenti, la tensione è alle stelle.

Barriere di metallo ora circondano anche il Campidoglio (la Casa Bianca era già inscatolata da tempo), viali deserti e tiratori scelti sui tetti dipingono il quadro surreale della fine di un regime.
Youtube ha bloccato ogni contributo di Trump per una settimana, Google ha sospeso tutta la pubblicità politica fino al 21 gennaio, Jared Kushner ha tolto il cellulare al suocero Donald che già pensava di usare le app dell’ultradestra in sostituzione degli account di Twitter e Facebook, che gli hanno spento. Trump non è comunque il solo rappresentante del popolo ad aver provocato l’aggressione violenta alla democrazia. La lista è lunga e piena di gente che oggi bofonchia scuse o si indigna per essere stato «male interpretato».

Il senatore del Missouri Josh Hawley ha eccitato la folla dagli scalini di Capitol Hill mulinando il pugno avanti e indietro fino a quando è scattato l’assalto. E’ uno che fa risalire i mali del mondo contemporaneo a Pelagio, monaco del Quarto secolo che difendeva il libero arbitrio – e riesce a dirlo senza mettersi a ridere. I deputati Mo Brooks (Alabama), Paul Gosar e Andy Biggs (Arizona) hanno letteralmente organizzato la manifestazione al Campidoglio insieme all’attivista di ultradestra Ali Alexander – che non ha l’immunità parlamentare e ora sul web chiede soldi per restare in fuga.

La deputata Mary Miller (Illinois), davanti a una folla poco prima del corteo sul Campidoglio ha invocato Hitler, nientemeno: «Hitler aveva ragione su una cosa, quando disse: chi ha i giovani ha il futuro» (nazisti e Illinois: non ci fu qualcuno che…).

Nella storia americana sono stati espulsi solo 15 senatori – 14 dei quali durante la guerra civile – e 5 deputati, due dei quali per corruzione.

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