In Umbria «patto civico» Pd-5 Stelle. Il candidato c’è, l’entusiasmo meno
Regionali 2019 Bianconi ora dovrà ricucire con Fora, scaricato dai dem: sarebbe pronto a correre da solo
Regionali 2019 Bianconi ora dovrà ricucire con Fora, scaricato dai dem: sarebbe pronto a correre da solo
La coalizione c’è, adesso bisogna fare i coalizzati. Pd e M5S alla fine hanno trovato in Vincenzo Bianconi un candidato alla presidenza dell’Umbria, ma la mesata abbondante di campagna elettorale sarà durissima: la destra fiuta il colpaccio, e i rapporti interni al «patto civico» di centrosinistra sono ancora tutti da costruire.
Bianconi è spuntato a sorpresa domenica sera, dopo che nel pomeriggio la corteggiatissima – e a un certo punto data per certa – Francesca Di Maolo ha fatto sapere di non essere disponibile per la candidatura. Si tratta, in sostanza, di una seconda scelta, e questo di per sé non è un bel biglietto da visita.
Originario di Norcia, 47 anni, imprenditore, presidente dell’associazione degli albergatori, il suo hotel di lusso «Palazzo Seneca» è stato il primo a riaprire i battenti in Umbria dopo il terremoto del 2016. Il suo primo compito da aspirante governatore sarà quello di ricucire con Andrea Fora, lanciato dal Pd settimane fa e poi scaricato senza tanti complimenti nel nome dell’accordo con il M5S.
Fora – che tra le altre cose aveva già fatto stampare e appendere dei manifesti con il suo nome e lo slogan «Energia pulita per l’Umbria» – sarebbe stato disposto a fare un passo indietro di fronte a Di Maolo, ma adesso si trova ad essere stato scalzato da un personaggio con il suo stesso peso e questo di sicuro non lo rende entusiasta. Infatti c’è chi dice che il presidente di Confcooperative sarebbe pronto a correre da solo e con una coalizione di tre liste civiche a suo sostegno.
Si tratta, in realtà, di un modo per alzare il prezzo quando Fora si metterà a tavolino a trattare con il centrosinistra. Nel Pd lo sanno bene e nessuno appare troppo preoccupato, anche se il segnale non è di quelli buoni, perché non c’è più molto tempo per continuare a litigare su quello che sarebbe potuto essere e non è stato.
I militanti dem, infatti, parlano con toni quasi bellici: «È il momento di mettere in piedi un gabinetto di guerra e prepararci alla campagna elettorale tutti uniti».
Non sarà facile, i renziani metteranno qualcuno nelle liste ma non appaiono intenzionati sul serio a collaborare, e dal M5S continuano a uscire dichiarazioni critiche sul patto dell’Appennino. Ieri gli eletti pentastellati si sono riuniti e nessuno appariva soddisfatto dalle vicende dell’ultima settimana. «La maggioranza su Rousseau si è espressa a favore, ma il voto è stato nazionale – dice la deputata Tiziana Ciprini -. Vorrei sapere cosa ne pensano gli umbri e al riguardo ho pochissimi dubbi. È un’alleanza con un Pd sbianchettato, ma sempre di Pd si tratta. Aspetto che Walter Verini mi faccia vedere la loro lista, porterò con me del Maalox. Girano nomi di impresentabili, sarebbe dura per noi mandarli giù. Ricordo che il Pd, in Umbria, lo abbiamo buttato giù noi».
Di Maio, da New York, difende l’accordo in maniera assai blanda, dicendo che è stato fatto perché «c’erano situazioni emergenziali: una giunta che era stata coinvolta in un’inchiesta e il commissariamento del Pd».
Dall’altra parte della barricata, Salvini va avanti come un treno e non passa una giornata senza che spari bordate contro i nemici storici del Pd e gli ex alleati a 5 stelle. «Si sono mandati in galera fino a ieri e oggi si alleano» è il pensierino della giornata di ieri. Se Bianconi sarà l’uomo giusto per sovvertire dei sondaggi che comunque vedono il centrodestra in vantaggio di qualche punto, è presto per dirlo.
Certo è che nell’aria non si respira molto entusiasmo. L’albergatore di Norcia appare a tutti come un ripiego più che come un colpaccio a effetto, e sulle chat gira il post che il candidato pubblicò su Facebook alla vigilia delle scorse europee: un endorsement alla candidata Arianna Verucci di Forza Italia.
A poco servono gli entusiasmi posticci di Zingaretti e di Franceschini, la base del partito resta quantomeno perplessa. «È una questione di metodo – conclude un esponente umbro dei Giovani Democratici – parlano tanto di rinnovamento e di nuove storie, ma non è stata fatta nemmeno mezza riunione per discutere. Hanno fatto tutto da soli».
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