C’è appena stato un ennesimo caso Assange anche in Australia, il Paese che ha dato i natali proprio al fondatore di Wikileaks ma anche all’ex avvocato e maggiore dell’esercito David McBride che è stato condannato una settimana fa a cinque anni e otto mesi per aver rivelato ai giornali informazioni su presunti crimini di guerra commessi dai militari australiani in Afghanistan durante gli anni dell’occupazione. Si sono aperte per lui le porte della prigione. E ci dovrà rimanere fino al 13 agosto 2026 prima di poter beneficiare della condizionale. I suoi legali presenteranno appello.

La sentenza che ha giudicato Mc Bride colpevole è arrivata a distanza di sette anni da quando l’emittente pubblica Abc aveva reso noti quelli che sono stati poi chiamati Afghan Files, bastati proprio sulle  informazioni fornite ai giornalisti di Abc da McBride. L’ex militare ha sempre detto di  non aver mai voluto nascondere il suo desiderio di rendere note le informazioni che aveva e anche che si aspettava che la giustizia del suo Paese valutasse se era o meno giustificato il suo comportamento. Che  invece la corte ha ritenuto illegittimo e dannoso per l’interesse nazionale. McBride ha sempre difeso il suo operato perché si sentiva moralmente in dovere di condividere pubblicamente quanto sapeva e, per altro, un’indagine sull’operato dell’Australia in Afghanistan ha poi evidenziato che le truppe di Canberra avevano ucciso illegalmente  decine di afgani durante la guerra.

McBride e la Abc avevano aperto in sostanza  un vaso di Pandora tenuto nascosto e sigillato. Quando nel 2019 le verità di McBride diventarono  pubbliche, la polizia federale australiana fece irruzione negli uffici della Abc confiscando tutto il materiale relativo agli Afghan Files, cui tra gli altri lavorava soprattutto il giornalista Dan Oakes che, alcuni mesi fa, è stato paradossalmente insignito della Medaglia dell’Ordine dell’Australia per il «servizio reso al giornalismo» proprio per via del suo lavoro sul materiale fornito da McBride.

Gli avvocati di McBride avevano chiesto clemenza, sostenendo proprio che il loro cliente aveva condiviso le informazioni riservate con intenzioni «onorevoli» e per senso del dovere. Ma secondo i giudici, il maggiore era motivato da «rivendicazioni personali» e quel che ha fatto  ha messo in pericolo la sicurezza nazionale e la politica estera dell’Australia. I sostenitori di McBride però pensano invece che la sentenza della Corte Suprema di Canberra sia una sorta di punizione e che il governo australiano sia più più interessato a punire chi ha fatto luce su fatti oscuri che non a perseguire gli autori di crimini di guerra.

La Federazione Internazionale dei Giornalisti (Ifj) si è unita alla  sua affiliata australiana Media Entertainment and Arts Alliance nel condannare una sentenza dall’«impatto allarmante sul giornalismo di interesse pubblico» e hanno chiesto una riforma sul tema della protezione degli informatori. «È una farsa che la prima persona imprigionata in relazione ai crimini di guerra australiani in Afghanistan non sia un criminale di guerra ma un whistleblower», ha detto  dopo la sentenza  Rawan Arraf, direttore esecutivo del Centro australiano per la giustizia internazionale.