In numerosi paesi arabi non passa giorno senza una manifestazione per la Palestina. Ma in Marocco non si vedevano da oltre vent’anni cortei come quelli organizzati dal Fronte marocchino a sostegno della Palestina e contro la normalizzazione (Fmspcn), che riunisce una ventina di partiti, sindacati e associazioni, e dal Gruppo di azione nazionale per la Palestina . vicino agli islamisti del Partito Giustizia e Sviluppo (Pjd).

«Abbiamo visto più di 300mila persone in strada a Casablanca», ha dichiarato all’agenzia Afp, Sion Assidon leader del Fmspcn. Una «vastissima partecipazione» (150mila tra Rabat e Tangeri martedì scorso per il massacro di Jabaliya – dopo la dura repressione poliziesca subità per anni da «ogni movimento di protesta contro il governo e la sua politica di riavvicinamento a Israele».

Dopo la grande marcia nazionale del 15 ottobre a Rabat, la mobilitazione ha continuato ad espandersi in molte città del paese. I principali slogan sono di sostegno alla «resistenza palestinese», ma soprattutto per «l’annullamento della normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Israele», stabilita nel dicembre 2020 come parte degli Accordi di Abramo.

Dopo la firma di questo patto, il Fronte di sostegno alla Palestina ha organizzato diversi presidi di mobilitazione poco tollerati e in molti casi dispersi dalle forze di sicurezza perché, secondo la Costituzione, l’orientamento della politica estera del Marocco è una «prerogativa del re» e qualsiasi opposizione viene punita. Repressione e arresti anche mei confronti di alcuni esponenti del Pjd, incriminati perché avevano criticato la svolta filo-israeliana della diplomazia marocchina o contro numerosi attivisti condannati per «aver criticato la monarchia e la normalizzazione» sui social.

Gli appelli alla rottura con lo stato ebraico stanno mettendo in crisi il governo di Rabat. Il personale dell’ufficio di collegamento israeliano a Rabat è stato evacuato il 18 ottobre per «ragioni di sicurezza» ma Israele ha assicurato che le relazioni tra i due paesi non sono a rischio e sono fondate su «basi solide».

Accordi e relazioni – principalmente in campo militare e sulla sicurezza – che hanno arricchito l’industria bellica di Tel Aviv, in cambio del riconoscimento ufficiale – attraverso un decreto dello scorso luglio firmato dal premier Netanyahu – della sovranità marocchina sui territori occupati del Sahara occidentale.

Da parte sua, Rabat mantiene un profilo basso. Sostiene il popolo palestinese e condanna le atrocità di Tel Aviv – visto che il re Mohammed VI presiede il comitato Al-Quds, responsabile della sorveglianza dei luoghi santi di Gerusalemme -, ma al tempo stesso prosegue sulla strada della normalizzazione.

La diplomazia marocchina si preparava ad organizzare il secondo forum del Negev, che riunisce i paesi firmatari degli Accordi di Abramo, prospettiva che è progressivamente scomparsa, come la ventilata ipotesi di una visita a Rabat da parte di Netanyahu.

L’«equidistanza» più volte espressa dal ministro degli Esteri marocchino, Nasser Bourita, non convince però le numerose forze politiche contrarie sia «alla normalizzazione», che «alla mancanza di libertà di espressione nel paese».

«Dobbiamo cancellare qualsiasi accordo nei confronti di un paese che sta massacrando il popolo palestinese e persegue il proprio progetto coloniale di pulizia etnica – ha detto Assidon – e se questo non accadrà protesteremo in qualsiasi modo».