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In Mali Goïta ringrazia Mosca per l’aiuto, ma nel nord è di nuovo guerra

In Mali Goïta ringrazia Mosca per l’aiuto, ma nel nord è di nuovo guerra27 luglio 2023, Vladimir Putin riceve Assimi Goïta al Russia Africa Summit di San Pietroburgo – Ap

Festa dell'indipendenza annullata Ribelli tuareg contro esercito e miliziani della Compagnia Wagner. E Timbuktu torna preda dei gruppi jihadisti

Pubblicato circa un anno faEdizione del 23 settembre 2023

La giunta militare del Mali ha annullato ieri i festeggiamenti previsti per celebrare l’anniversario dell’indipendenza e ha comunicato di voler mobilitare «tutti i riservisti di fronte alle crescenti tensioni nel nord del paese».

Giovedì sera, in un discorso alla nazione, il presidente della transizione, colonnello Assimi Goïta, ha elogiato «il lavoro della giunta per aver cacciato tutte le forze straniere», ringraziando Mosca e il suo sostegno «per preservare la sovranità del Mali». Riguardo all’attuale situazione di crisi nel nord, Goïta ha assicurato che le forze di difesa saranno «schierate nuovamente sul territorio nazionale per ristabilire la sovranità di Bamako in tutto il Mali».

In questi ultimi giorni non si sono verificati nuovi scontri tra l’esercito maliano (Fama) e i gruppi separatisti tuareg – riuniti all’interno del Quadro strategico permanente (Csp) -, ma la situazione resta tesa dopo gli attacchi di Léré e di Bourem, con oltre 40 militari uccisi.

Domenica i gruppi ribelli tuareg nel nord dell’Azawad – in particolare il Coordinamento dei Movimenti Azawad (Cma) – hanno dichiarato di aver conquistato due basi militari a Léré, nella regione di Timbuktu, causando «vittime, decine di prigionieri e l’abbattimento di due jet dell’aviazione», dopo la presa della base di Bourem della scorsa settimana.

I combattimenti di queste ultime settimane si inseriscono in un contesto di crescente tensione nel paese dove operano una moltitudine di attori armati in lotta per il controllo del territorio: l’esercito nazionale insieme ai mercenari russi di Wagner, i gruppi separatisti tuareg e le diverse fazioni jihadiste presenti nel paese. Tensioni che fanno temere la riapertura del fronte tra l’esercito maliano e i gruppi ribelli dell’Azawad che hanno combattuto contro lo stato centrale nel 2012, prima di accettare un cessate il fuoco nel 2014 e firmare l’«Accordo di pace di Algeri» nel 2015.

Una situazione già molto complessa a causa della contemporanea avanzata dei gruppi jihadisti, con l’assedio di città come Ménaka e Timbuktu da parte delle due formazioni presenti nel paese: il Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim), affiliato ad al-Qaeda, e lo Stato Islamico del Sahel.

La ripresa delle ostilità in tutta l’area settentrionale coincide con il progressivo ritiro dei 12mila militari della missione Onu Minusma, richiesto lo scorso aprile dal governo maliano a causa delle «ingerenze negli affari interni del paese», per le accuse relative «a violenze indiscriminate contro civili», commesse dalle Fama insieme ai mercenari russi.

In questi mesi Minusma ha lasciato due basi vicino a Timbuktu (Ber e Goundam) trasferite alle autorità maliane, ma il posizionamento dei militari di Bamako ha causato nuovi scontri e instabilità. I soldati si sono trovati a combattere sia i miliziani jihadisti, sia i gruppi separatisti tuareg che accusano Bamako di «voler rioccupare il nord».

«Il governo centrale ha violato gli accordi» ha indicato all’agenzia Afp il portavoce della coalizione, Mohamed Elmaouloud Ramadane, precisando che la giunta militare vuole «rioccupare zone il cui controllo dovrebbe rimanere nelle mani del Csp». «La scelta di riprendere la lotta armata – ha indicato Ramadane – è causata anche dalle continue violenze, saccheggi ed esecuzioni arbitrarie contro i civili da parte delle Fama».

Sul terreno, l’accordo di pace del 2015 è andato di fatto in frantumi, anche se né Bamako né i gruppi armati se ne sono ufficialmente ritirati. Non sembra aver prodotto nessun effetto l’appello della società civile maliana per cercare di salvare la pace. «Esortiamo le autorità nazionali e i movimenti separatisti a cercare la via del dialogo, perché, con un nuovo conflitto, il nostro paese rischia di sgretolarsi sotto la spinta jihadista», hanno dichiarato in un comunicato unitario mercoledì tutte le formazioni politiche del paese.

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