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In Iran servizi negati senza hijab, siti «ripuliti» e accademie svuotate dei dissidenti

In Iran servizi negati senza hijab, siti «ripuliti» e accademie svuotate dei dissidentiPer le strade di Teheran, con e senza velo – Ap/Vahid Salemi

Iranicidio Approvata una nuova legge, il regime verso la separazione fisica tra uomini e donne. L’abbigliamento come strumento di potere: ai maschi vietati calzoni corti e capelli lunghi

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 6 ottobre 2023

I 72 articoli della nuova legge sull’osservanza dell’indumento femminile, approvati dal parlamento della Repubblica islamica, assomigliano più a regole di schiavitù che a una normativa che ne regola l’abbigliamento. La legge, chiamata ufficialmente «Sostenere la famiglia promuovendo la cultura della castità e dell’hijab», disciplina ogni momento della vita quotidiana, attività sociale, culturale e ricreativa delle donne e obbliga il coinvolgimento della maggior parte delle istituzioni dello Stato, delle forze militari, della polizia e dell’organizzazione radiotelevisiva nella sua attuazione e nel controllo.

I trasgressori dovrebbero affrontare pene pecuniarie che possono arrivare fino all’equivalente di 1.800 euro e pene detentive da due mesi fino a 10 anni per chi «collabori» con entità straniere o promuova una cultura di «immodestia, non hijab o abbigliamento improprio», online o offline. Nessuna «donna senza hijab può essere impiegata in uffici pubblici e privati», afferma esplicitamente la legge.

DOPO LA MORTE di Mahsa Amini sotto la custodia della polizia morale della Repubblica islamica, le donne iraniane erano coraggiosamente scese in strada, le voci strozzate erano diventate canti liberatori in una sfida al potere teocratico che per 44 anni ha trasformato le sue regole anti-donna nel simbolo della sua esistenza.

Moltissime donne iraniane in questi anni sono state picchiate, chiamate prostitute, umiliate, arrestate, gettate nei furgoni di peso, incarcerate, torturate fisicamente e psicologicamente per non aver obbedito pienamente alla legge sull’indumento islamico.

Per alcuni mesi le donne sono apparse in pubblico senza velo, sembrava che il potere avesse fatto un passo indietro almeno ufficiosamente. L’apparente ritirata ha creato l’illusione che la questione dell’hijab fosse stata relativamente superata e che era arrivato il momento delle «cose più importanti». Tuttavia, dopo la repressione delle rivolte è cominciata una lenta epurazione dei possibili oppositori. Centinaia di attivisti sono stati arrestati con vaghe accuse, migliaia di altri fermati, interrogati e rilasciati dopo avere preso l’impegno, per scritto, di essere «buoni».

I professori universitari più aperti al dialogo con gli studenti sono stati licenziati o costretti al pensionamento anticipato. Sono stati ridotti al silenzio artisti, scrittori, poeti, giornalisti e chiunque aveva espresso solidarietà con il movimento «Donna, Vita e Libertà».

I gestori di siti sono stati obbligati a cancellare i contenuti «sconvenienti». L’uso della rete con una velocità decente è stato riservato al regime; per gli altri è disponibile appena qualche mega per non fermare le prassi economiche e amministrative. Sono apparse le camere 3d per il riconoscimento facciale in ogni angolo delle città.

QUALCHE GIORNO dopo l’anniversario della rivolta «Donna, Vita, Libertà», quando il potere ha appurato il suo controllo totale sulle città e i settori più critici, il parlamento ha approvato la nuova legge.

Strutture pubbliche, aziende commerciali, alberghi, ristoranti e mezzi di trasporto non possono servire una donna senza velo altrimenti vengono punite. Le persone «socialmente influenti» che indossano l’hijab in modo improprio potrebbero rischiare il carcere e una multa equivalente all’1-5% del loro patrimonio. Gli individui giudicati colpevoli di aver insultato o ridicolizzato l’hijab rischiano multe e il potenziale carcere.

Le disposizioni vietano l’importazione di «indumenti proibiti, statue, bambole, manichini, dipinti, libri e riviste e altri prodotti che promuovono la nudità e l’indecenza». Pochi esempi di dure disposizioni che violano diritti umani e libertà personali.

La legge va anche oltre e si avvicina al pensiero dei Taliban: si concentra sulla separazione fisica tra uomini e donne negli ambienti educativi, sanitari, amministrativi e lavorativi. Neanche gli uomini a cui vengono vietati indumenti attillati, trasparenti e pantaloncini, restano fuori. Il ministero della Salute, nel suo regolamento per le università di scienze mediche, ha vietato agli studenti maschi acconciature e tagli di capelli non convenzionali, capelli più lunghi che cadono sotto il colletto del vestito, intrecciare, arricciare, formare code sulla parte posteriore e superiore della testa.

IL DISEGNO di legge è un chiaro segnale del crescente divario tra Repubblica islamica e società iraniana, in particolare donne e giovani che hanno sempre di più sfidato il codice di abbigliamento imposto dallo Stato. L’attuazione capillare delle infinite regole, per lungo tempo, è stata messa in dubbio da molti osservatori e giuristi. Piuttosto sembra che il regime abbia voluto mostrare la sua onnipotenza all’interno e all’esterno e creare strumenti giuridici per punire coloro che non si allineano con il potere dominante a qualsiasi livello.

I più moderati e pragmatici del sistema, come riformisti e tecnocrati, hanno tentato di bloccare l’approvazione della legge al Consiglio dei Guardiani che ne esamina la compatibilità con la Costituzione e l’Islam.

Il disegno di legge è stato approvato in un modo insolito, usando l’articolo 85 della Costituzione, raramente invocato, che ha permesso di aggirare il normale processo parlamentare, ovvero un dibattito pubblico in parlamento trasmesso dalla radio e dalla tv nazionali. È stato invece discusso da una commissione e approvato come «legge sperimentale» per tre anni.

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