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In Iran fronte unito contro l’aggressore. È un dovere morale

In Iran fronte unito contro l’aggressore. È un dovere moraleLa folla alle esequie di Qassem Soleimani ieri a Kerman – Ap

20 di guerra 50 morti nella calca, rimandate le esequie di Soleimani a Kerman. Proteste e repressione sono ormai un ricordo, tutti con i pasdaran e gli ayatollah. I deputati iraniani inseriscono il Pentagono tra le organizzazioni terroristiche 

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 8 gennaio 2020

Cinquanta morti e oltre duecento feriti. È il bilancio della calca di ieri per le esequie di Qassem Soleimani a Kerman, la sua città natale a sudest dell’Iran dove avrebbe dovuto essere sepolto nel cimitero dei martiri. Non sono chiare le dinamiche, pare che la cerimonia sia stata rimandata. Secondo l’emittente iraniana PressTv, lunedì ad accompagnare il feretro del generale nella capitale Teheran sarebbero stati sette milioni di iraniani.

I FUNERALI DI SOLEIMANI ricordano, per affluenza, quelli dell’Ayatollah Khomeini morto il 3 giugno 1989 e sepolto due giorni dopo nel cimitero Behesht-e Zahra a sud della capitale Teheran. A causa della folla, trent’anni fa era stato necessario sollevare il feretro del fondatore della Repubblica islamica con un elicottero militare. Nella confusione, la bara aveva perso equilibrio e il corpo, avvolto nel sudario bianco, era fuoriuscito. Per mantenere l’ordine, erano dovuti intervenire i pasdaran. Durante la processione funebre, i morti erano stati otto.

 

I funerali dell’Ayatollah Khomeini nel giugno 1989 a Teheran (foto Ap)

 

DAL PUNTO DI VISTA MEDIATICO, le cerimonie funebri per il generale ucciso da un drone americano rappresentano un successo per la Repubblica islamica, perché servono a compattare un’opinione pubblica divisa per la grave crisi economica e le conseguenti manifestazioni represse dalle forze dell’ordine.

Con l’assassinio di Soleimani lo scenario iraniano è improvvisamente cambiato rispetto a cinquanta giorni fa. A metà novembre migliaia di dimostranti erano scesi in strada dando fuoco alle stazioni di servizio e protestando per il rincaro del carburante. Nella speranza di non far rimbalzare foto e video sui social network, le autorità avevano spento Internet per una settimana e avevano messo in atto la macchina repressiva: le vittime degli apparati di sicurezza erano stati un numero imprecisato, tra i 330 e 1500 a seconda delle fonti, distribuiti in un centinaio di località. Migliaia i dimostranti arrestati.

SOLEIMANI ERA A CAPO dei corpi speciali al-Qods, responsabili delle operazioni all’estero. Ma era pur sempre un generale dei pasdaran, ovvero di quell’ingranaggio che troppo spesso, in questi quarant’anni di Repubblica islamica, ha stritolato gli oppositori del regime. Un meccanismo ben oliato, anche grazie al fatto che le Guardie rivoluzionarie controllano buona parte dell’economia iraniana e hanno quindi a disposizione fondi sostanziosi. Per i riformisti, Soleimani era uno dei dodici comandanti che nell’estate del 1999 aveva scritto all’allora presidente della Repubblica islamica Mohammad Khatami intimandogli di mettere fine alle proteste degli universitari. In caso contrario, il leader artefice della primavera di Teheran sarebbe stato deposto da un colpo di stato delle potenti Guardie rivoluzionarie.

Detto questo, Khatami è stato tra i primi a rilasciare dichiarazioni sulla morte atroce di Soleimani, così come ha fatto l’ayatollah riformatore Sanaei dalla città santa di Qum.

NONOSTANTE LA REPRESSIONE che a più riprese viene messa in atto da ayatollah e pasdaran, milioni di iraniani si sono riversati in strada a commemorare la morte del generale dimostrando sostegno alle autorità che traggono legittimità dalle immagini andate in onda in questi giorni, così come dall’alta affluenza alle urne prevista per le elezioni parlamentari del prossimo 21 febbraio. La costruzione del consenso, in questi casi, è capillare: nei giorni di lutto nazionale gli uffici governativi, le università e le scuole sono chiuse, le autorità organizzano i trasporti gratuiti per coloro che vengono da fuori città. Partecipare è un dovere morale, dopo anni di sanzioni internazionali imposte da Washington. soprattutto in questo momento, in cui il paese rischia di essere bombardato per una decisione azzardata del presidente statunitense Trump. Per questo tanti scelgono di scendere in strada a ricordare un uomo come Soleimani, da sempre impegnato nella difesa della patria e del mondo sciita, in grado di tessere legami forti con i correligionari arabi nella regione.

CONVOGLIANDO MILIONI di iraniani in strada, il leader supremo Ayatollah Khamenei è così riuscito a fare quello che il suo predecessore, Ruhollah Khomeini aveva fatto nel settembre 1980, quando le forze armate del dittatore iracheno Saddam Hussein avevano invaso l’Iran approfittando della sua presunta debolezza all’indomani della Rivoluzione del 1979. Il messaggio è sempre quello: in caso di aggressione, gli iraniani mettono da parte le differenze per fare fronte comune contro l’aggressore.

Intanto, i deputati iraniani hanno designato l’Esercito statunitense e il Pentagono organizzazioni terroristiche e allocato ulteriori fondi ai corpi speciali al-Qods dei pasdaran di cui Soleimani era il capo.

Da parte loro, gli Stati uniti hanno negato il visto di ingresso al ministro degli Esteri iraniano Zarif, che alla fine di questa settimana dovrebbe recarsi alle Nazioni unite a New York. Un gesto in violazione degli accordi internazionali.

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