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In Catalogna torna il coprifuoco

In Catalogna torna il coprifuocoIn spiaggia a Barcellona

Spagna In tutto il paese registrati ieri 31.000 contagi. Aumenta anche il numero di ricoveri, torna sotto pressione il sistema sanitario

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 17 luglio 2021

Da stanotte è di nuovo il coprifuoco, per 161 comuni catalani, dall’una alle sei del mattino. Grazie alla luce verde data dal Tribunale supremo locale, a cui i governi regionali sono costretti a ricorrere per chiedere l’autorizzazione a limitare i movimenti dei cittadini, la Catalogna si aggiunge alla Cantabria e alla comunità valenziana. Alle Baleari e alle Canarie invece i rispettivi Tribunali hanno argomentato, in sostanza, che le limitazioni proposte dai governi regionali non erano giustificate. Anche nelle regioni dove la giustizia ha autorizzato le limitazioni, che comprendono nuove strette sugli orari commerciali, sul numero di persone che possono formare un gruppo e sull’interno dei locali, il blocco della circolazione è limitato ai comuni dove la situazione è più grave.

Il numero di contagi nel paese è esploso, facendo superare la soglia di più di 500 positivi per 100mila abitanti nelle ultime due settimane: solo ieri, ben 31mila nuovi contagi. In alcune delle comunità, come la Catalogna, il tasso supera già i 1000 contagi (cioè più dell’1% della popolazione si è infettato negli ultimi 15 giorni) e non c’è nessuna regione dove il tasso di nuovi contagi sia al di sotto dei 100. Il tutto mentre la vaccinazione procede abbastanza spedita: più di 50 milioni di dosi somministrate, quasi metà della popolazione con il ciclo vaccinale completato, e il 61% con almeno una dose. La settimana scorsa sono state iniettate mezzo milione di dosi al giorno: la fascia meno protetta è quella dei minori di 30 anni e anche una parte dei cinquanta-sessantenni che ricevettero AstraZenca meno di 8 settimane fa. Ma la fretta di attrarre il turismo e di placare le ire del settore alberghiero e dei locali ha fatto allentare tutte le misure in vigore fino a poche settimane fa. Esecutivi come quello catalano hanno autorizzato la celebrazione di ben tre festival musicali (all’aria aperta, con test antigenici e con mascherine, ma con migliaia di persone) nelle ultime settimane: «È stato un errore», ha ammesso ieri l’assessore alla salute catalano ed epidemiologo Josep Maria Argimon davanti ai numeri della Catalogna. Nel frattempo comincia ad aumentare anche il numero dei ricoverati negli ospedali, e di persone sempre più giovani, il che inevitabilmente mette di nuovo sotto pressione il sistema sanitario: alcuni reparti speciali Covid hanno dovuto riaprire.

La situazione non può che peggiorare. Non solo molti tribunali si sono opposti a che i governi regionali prendessero misure restrittive mettendo in dubbio la relazione fra le limitazioni e il calo dei contagi; ma proprio questa settimana il Tribunale costituzionale ha emesso una sorprendente sentenza in cui sostiene che il governo centrale un anno fa per limitare i movimenti delle persone avrebbe dovuto decretare non lo «stato di emergenza», ma lo «stato di eccezione», che però richiede l’approvazione del parlamento, può durare al massimo 60 giorni e praticamente concede al governo poteri “dittatoriali” di fronte a un’alterazione significativa dell’ordine pubblico. La legge costituzionale che regola queste situazioni è invece chiara: lo stato di emergenza è indicato nel caso di crisi sanitarie. La sentenza, seguita a un ricorso di Vox e approvata con 6 sei voti contro 5 e con 4 dei magistrati “scaduti” (il Pp impedisce al parlamento di eleggerne di nuovi), è destinata a legare le mani di qualsiasi esecutivo di fronte a una nuova situazione pandemica, e costringerà anche i tribunali supremi meno ostili alle misure di contenimento della pandemia a rivedere la propria giurisprudenza.

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