In carrozzina, la folle ricerca di cure accessibili
La testimonianza Grande cosa il passa parola. Attraverso questo ho saputo che il mio medico di base era in procinto di trasferirsi da Milano a Monza. Non ne poteva più delle minacce, […]
La testimonianza Grande cosa il passa parola. Attraverso questo ho saputo che il mio medico di base era in procinto di trasferirsi da Milano a Monza. Non ne poteva più delle minacce, […]
Grande cosa il passa parola. Attraverso questo ho saputo che il mio medico di base era in procinto di trasferirsi da Milano a Monza. Non ne poteva più delle minacce, delle intimidazioni che molti dei suoi pazienti le rivolgevano, delle ruote della macchina bucate. Così Karen ha deciso di andarsene. Non l’ho saputo dall’Agenzia Tutela Salute (Ats). Forse ai miei nipoti arriverà postuma una lettera come accade ancora per quelle smarrite sul fronte russo.
Essendo in carrozzina ho bisogno di un medico accessibile. All’Ats mi hanno consegnato uno scarno elenco, da cui risultava che c’era un medico disponibile, poco distante da casa mia, e altri due in via Toscana. Dal primo mi separa una rampa di scale. Dai secondi cinquanta minuti con i mezzi pubblici. Non sapevo se ridere o piangere. Ma ve la immaginate una persona disabile in carrozzina che d’inverno, con la pioggia, deve attraversare tutta la città (Milano, nel mio caso) per farsi fare una ricetta? Dovrei usare la mia bat mobile, ma abitualmente viaggio in incognito.
Ho provato ad andare alle Case di Comunità, dovrebbero rappresentare un polo intermedio tra il medico di base e l’ospedale. In quella in piazza Selinunte non posso entrare, non c’è la pedana. Sono entrato in quella di via Monreale, ma non avevano nominativi da fornirmi. Ho provato a chiamare il mio assistente sociale. Mi ha rimbalzato nuovamente all’Ats. Ho telefonato alla dottoressa vicina di casa. La segreteria telefonica era piena. I commenti sul web non erano confortanti. Pare che la segreteria sia sempre piena, che non risponda alle e-mail, che sia necessario andare da lei. Ma questo per me è impossibile. Cinque gradini mi separano dall’ascensore e l’ascensore non è sufficientemente ampio.
Il 6 giugno, nei giorni della mia ricerca sono stato invitato all’ex mercato comunale di piazzale Selinunte, nel cuore del Quadrilatero, l’area di maggior densità di edilizia popolare a Milano. Alla presentazione del Protocollo San Siro, progetto di rigenerazione del quartiere, ho sentito tante belle parole, dopo averle ascoltate mi sembrava di vivere nel migliore dei mondi possibili. C’era il prefetto, il questore, il presidente del consiglio di zona, gli assessori, là nel quadrilatero dove si parlano 85 lingue, dove ci sono 12.000 persone disabili ma nessun medico disponibile, e soprattutto nessun medico accessibile.
Per dimenticare volevo ubriacarmi. Purtroppo il locale che ho scelto vicino a casa non è accessibile.
Fortunatamente il passa parola della povera gente alla fine ha funzionato. Un’amica mi ha detto: «Chiedi al medico di tua madre. Ha 85 anni e tu ci vivi insieme. Quel medico è obbligato a prenderti». Così è stato.
Oggi ho ancora un medico. Che importa se non è accessibile. A che serve farsi visitare per avere una diagnosi, quando posso farmi leggere i tarocchi o i fondi di caffè?
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