Una crociata continua, contro la cancelliera Merkel per sopravvivere all’ondata fascio-populista che rischia di travolgere i bavaresi nella loro roccaforte elettorale. A Monaco la spia d’allarme lampeggia fissa sul rosso, dopo che l’ultimo sondaggio Forsa ha misurato la clamorosa penetrazione di Alternative für Deutschland nel cuore della Germania cattolica e tradizionalista.

Sarà così fino al 14 ottobre, giorno delle elezioni per il rinnovo del Parlamento regionale, da sempre guidato dal partito «padre-padrone» della politica bavarese. La demoscopia certifica l’inquietante 14% raggiunto dagli «alternativi» a traino della coppia Alexander Gauland e Alice Weidel, così come il minimo storico della Csu non più stabilmente sopra quota 40%.

Così, la guida della Csu è costretta a svoltare sempre più a destra e i bavaresi devono inventarsi quasi una «sparata» al giorno per reggere il confronto con le bordate del concorrente politicamente più pericoloso. L’ultima è il crocefisso obbligatorio negli edifici pubblici stabilito dal decreto firmato dal governatore Markus Söder «per proteggere l’identità bavarese» minacciata dall’immigrazione islamica quanto dalla politica di Merkel, che qui rimane sempre e comunque «la figlia del pastore protestante».

Il modello patria & famiglia contro il sistema multi-kulti imposto da Berlino, secondo il metodo che ha fatto scuola anche in Italia con Matteo Salvini pronto a esibire il rosario nella «nuova» Pontida dipinta di blu.

Una mossa obbligata per smuovere almeno le cifre dei sondaggi e il genere di provvedimento utile a serrare le fila dell’elettorato da sempre iper-sensibile alla questione identitaria.

Non importa se il primo oppositore alla crociata della Csu è proprio la Chiesa cattolica; ancora meno se a parlare non è l’ultimo dei preti di campagna della Baviera ma il primo dei cardinali che siedono nel Consiglio dei Nove istituito da papa Bergoglio.

«Non spetta certo ai dirigenti del Land spiegare la simbologia dietro al crocefisso», ha pùlpitato Reinhard Marx, presidente dell’autorevole conferenza episcopale tedesca nonché arcivescovo della diocesi di Monaco. Mentre dall’Università di Münster, Thomas Schüller – tra i più influenti teologi cattolici nella Repubblica federale – rubrica la norma “elettorale” di Söder come «riduzione a folklore del più importante simbolo della cristianità».

Di fatto, la mission dei cristiano-sociali non conosce limiti né confini e se ne frega se la legge sulla croce viola apertamente la norma federale sulla neutralità religiosa, che anche a Monaco sono tenuti a rispettare. Va a braccetto con l’idea della polizia di frontiera autonoma bavarese (altra misura in rotta di collisione con le regole del federalismo tedesco) e con la strumentalizzazione in tempo reale di ogni irregolarità, reato o delitto commesso da cittadini stranieri, meglio se immigrati.

Ieri il ministro dell’Interno Horst Seehofer, spiegando la sua resistenza al piano Merkel, ha ricordato il recente efferato omicidio della 14enne Susanna, stuprata e uccisa da Ali B., un profugo iracheno di poco più di 20 anni. Un caso perfetto per la narrazione bavarese, esattamente la «barbarie» che serve per puntellare il giro di vite del ministro Csu che non a caso ha preteso per sé anche l’inedita delega all’«Heimat» (patria).

«Non posso assumermi questa responsabilità», ha sottolineato ieri Seehofer nella riunione con i maggiorenti del suo partito come conferma il tabloid conservatore Bild. Nel frattempo, l’ex governatore della Baviera continua a giocare di sponda con l’amico-rivale Söder, candidato di punta alle elezioni d’autunno e uomo che il Financial Times ha descritto come il più probabile «killer politico» della cancelliera. «I tedeschi hanno perso la pazienza di fronte alle violenze commesse dagli immigrati» e l’apertura incondizionata delle frontiere «rischia di far crollare la nostra democrazia».

Tuttavia, il primo ministro di Monaco sa perfettamente quando tendere o mollare la corda del dialogo con il partito gemello con cui condivide il Gruppo al Bundestag. Un colpo al cerchio della Baviera, l’altro alla botte di Berlino sempre meno controllata dalla Cdu.