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Il virus aviario che si aggira per l’Europa

Il virus aviario che si aggira per l’Europa

Salute L’H5N1 è endemico. Nel vecchio continente nel 2022 ci sono stati 2500 focolai. In Italia situazione sotto controllo, gli allevamenti avicoli però sono «il» problema

Pubblicato più di un anno faEdizione del 16 marzo 2023

Polli e maiali sono gli animali che se la passano peggio con gli attuali sistemi di allevamento, ma sono anche quelli che pongono i maggiori problemi di salute pubblica. Le epidemie di influenza aviaria e di peste suina si manifestano con maggiore frequenza e in forma sempre più estesa, favorite dalla elevata concentrazione degli animali. L’influenza aviaria, che solo un anno fa aveva imperversato nel nord-est dell’Italia e che aveva portato all’abbattimento di 15 milioni di capi tra polli da carne, ovaiole e tacchini per arginare il contagio, fa ancora paura.

IL NOTEVOLE AUMENTO DI CASI DI INFLUENZA aviaria tra gli uccelli selvatici nelle aree dove è maggiore la concentrazione di allevamenti avicoli (Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia) sta imponendo drastiche misure di biosicurezza per impedire il contagio ai volatili domestici. Attualmente non si registrano focolai attivi negli allevamenti italiani e sembra scongiurato il pericolo di rivivere l’emergenza sanitaria del 2021-2022 che aveva interessato 317 aziende. Il contagio che si è manifestato nel periodo autunnale in una trentina di aziende del nord-est è stato circoscritto con gli inevitabili abbattimenti di tutti gli animali, sani e malati, presenti nelle strutture.

SECONDO L’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO delle tre Venezie, centro di referenza nazionale ed europeo per l’influenza aviaria, il responsabile delle epidemie di questi anni è il virus ad alta patogenicità H5N1. Si tratta di un virus che presenta una trentina di varianti e che è diventato endemico, insediandosi stabilmente tra gli uccelli selvatici e domestici di tutto il mondo, con uno spillover (salto di specie) sempre più frequente tra i mammiferi. I dati dell’Istituto indicano che dall’ottobre 2022 a fine febbraio sono stati individuati sul territorio italiano più di 250 uccelli selvatici portatori del virus. I più colpiti sono gabbiani, alzavole, germani reali, oche, cigni. Nelle ultime due settimane sono stati un centinaio i gabbiani trovati morti sulle rive del lago di Garda, a conferma che il contagio non dipende solo dagli uccelli migratori provenienti da altre aree del pianeta, ma che il virus è presente negli uccelli che vivono stabilmente in Italia.

NEL NOSTRO PAESE SONO 18 MILA GLI ALLEVAMENTI avicoli, di cui 6 mila di tipo industriale dove si concentra l’80% della produzione di carne e uova. Le misure di sorveglianza sui volatili selvatici e le strategie di prevenzione negli allevamenti non sempre sono risultate efficaci. In Europa nell’ultimo anno sono stati 2500 i focolai di aviaria. In queste settimane la situazione più grave si manifesta nel Regno Unito, dove è in atto una epidemia di vaste proporzioni che sta interessando numerose popolazioni di uccelli selvatici e di pollame, colpendo anche alcuni mammiferi selvatici (lontre e volpi). Lo spillover è l’evento più temuto per i virus influenzali di tipo A e il virus H5N1 è sempre stato un osservato speciale per la sua capacità di mutare rapidamente e acquisire caratteristiche che gli conferiscono la capacità di infettare altre specie animali. Questo virus è rimasto confinato per decenni tra gli uccelli acquatici, in particolare le anatre selvatiche che costituiscono la riserva naturale dei diversi sottotipi di influenza aviaria. Le epidemie tra gli uccelli domestici sono state controllate con facilità fino a quando gli allevamenti intensivi non hanno preso il sopravvento.

L’ELEVATA CONCENTRAZIONE DEGLI ANIMALI ha cambiato la situazione, creando le condizioni favorevoli per una rapida diffusione del virus, con la comparsa di varianti sempre più aggressive. Inoltre, l’uniformità genetica che si riscontra negli allevamenti intensivi non favorisce la capacità di resilienza rispetto ai virus e ai batteri. Gli uccelli domestici ammassati nelle strutture industriali sono diventati un «ponte epidemiologico» tra gli uccelli selvatici e l’uomo. Le persone più esposte ad eventi di spillover sono gli allevatori, il personale dei macelli, gli addetti alla gestione dei rifiuti zootecnici.

NEL 1997 SI E’ AVUTO AD HONG KONG il primo caso documentato di passaggio del virus dell’aviaria dal pollame all’uomo. Da allora, a livello mondiale, sono stati 870 i casi registrati di persone contagiate per il contatto con animali infetti e 458 i decessi, compresa la bambina cambogiana di 11 anni morta a fine febbraio. Un tasso di letalità elevatissimo. Finora è stato scongiurato l’evento più temibile: la capacità del virus H5N1 di produrre mutazioni con l’acquisizione di geni umani, che consentirebbe al ceppo virale di trasferirsi da una persona all’altra. Ma aumenta il numero di episodi in cui si registra il contagio tra i mammiferi.

HA DESTATO GRAVE PREOCCUPAZIONE nell’ottobre del 2022 la scoperta del virus dell’aviaria in un allevamento di visoni da pelliccia nel nord-ovest della Spagna. Nelle settimane precedenti nella zona si era registrata una elevata mortalità di volatili selvatici. In questo caso il virus H5N1 non solo è riuscito a trasferirsi dai volatili ai mammiferi, ma con delle mutazioni nel suo genoma è stato in grado di passare da un visone all’altro, determinando una elevata mortalità. Tutti i 52 mila visoni, sani e malati, sono stati abbattuti per fermare il virus ed evitare il rischio di propagazione all’uomo. Le analisi effettuate su tutte le persone che erano entrate a contatto con gli animali non hanno evidenziato situazioni di contagio, ma le mutazioni che si sono prodotte in alcuni ceppi del virus H5N1 sono considerate preoccupanti segni di adattamento ai mammiferi.

CHE IL VIRUS DELL’AVIARIA ABBIA ACQUISITO la capacità di infettare i mammiferi è confermato dalla morte nel mese di gennaio di circa 700 leoni marini in sette aree naturali protette della costa peruviana. Anche in questo caso sono stati gli uccelli selvatici a trasferire il virus. Dopo i casi di trasmissione del virus H5N1 dagli uccelli ad alcune specie di mammiferi, l’Oms ha sollecitato tutti i paesi ad innalzare il livello di allerta sui virus di origine aviaria. La necessità di adottare tutte le misure di biosicurezza per impedire al virus di contagiare altre specie animali viene ribadita da Isabella Monne, veterinaria che opera nell’Istituto zooprofilattico delle Venezie e che ha collaborato con i ricercatori spagnoli nello studio sui visoni contagiati: «Il virus influenzale aviario H5N1 non è un problema solo dei volatili, ma rappresenta una emergenza epidemica globale senza precedenti. La circolazione del virus nella popolazione selvatica e la mortalità massiva in alcune specie rischia di sbilanciare ulteriormente gli ecosistemi con conseguenze ignote anche sulle dinamiche evolutive dei virus. Un virus influenzale capace di causare lo spillover nei mammiferi va fermato prima di diventare un problema per la sanità pubblica».

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