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Il viaggio distopico nei mondi sotterranei della Russia di Putin

Il viaggio distopico nei mondi sotterranei della Russia di Putin – Min Seub Jung/ jung_min.artstation.com

Russia Una Mosca rinchiusa nei sotteranei della sua metropolitana e un libro sull’Ucraina diventato in breve tempo un «caso politico» oltre che letterario

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 29 dicembre 2016

Chi conosce Mosca deve avere pensato almeno una volta che le mani migliori del Novecento siano state al lavoro per decenni su un progetto surreale, bello e folle come il Cremlino, per di più sottoterra.

Perché la metropolitana appare sin dal primo sguardo molto più che un sistema di trasporto: è una città dentro la città, quattrocento chilometri di tunnel, acciaio e cemento attraverso la Moscova, gallerie scavate fra caserme e ministeri, e lunghe scale meccaniche che trascinano ogni giorno dieci milioni di esistenze verso stazioni dai nomi potenti e pomposi. Biblioteca Lenin, Prospettiva della Pace, Piazza Rivoluzione.

MARMI E TRENI Il marmo rosso della Burovshina brilla sulle banchine della stazione Marksistkaya, mentre il treno corre verso est. La voce metallica che gracchia alla radio appesa dentro i vagoni scandisce appena quattro lettere quando s’arriva alla Fiera dei Traguardi dell’Economia Nazionale. Dice soltanto «Ve-de-en-kha».
Appena fuori, un obelisco di titanio spunta curvo all’orizzonte: è l’ultimo omaggio di Nikita Krushchev agli eroi del cosmo.

La stazione VDNKh conserva i singhiozzi rimasti all’umanità nel libro Metro 2033 dello scrittore Dmitry Glukhovsky, un enorme caso editoriale in Russia con mezzo milione di copie vendute nel 2010, il primo anno di pubblicazione, prima di essere tradotto in una decina di lingue.
Nel racconto, la popolazione mondiale è decimata da una sciagura nucleare. A Mosca i sopravvissuti trovano riparo nel labirinto di condotti della metro, senza sapere se, oltre i confini della città, la vita esista ancora.

IL GUARDIANO DEI TUNNEL Il protagonista è un ventenne di nome Artem, guardiano nei tunnel che portano all’accampamento sorto fra binari e banchine: è nato in superficie, ha passato l’infanzia sottoterra con la madre ed è scampato all’invasione di ratti che ha distrutto la cittadella costruita alla stazione Timiryazevskaya, sulla linea numero 9.
Ora una minaccia improvvisa e sconosciuta lo spinge attraverso quel mondo sotterraneo per trasmettere l’allarme ai cittadini della Polis, il centro della civiltà nell’era della nube atomica. Durante il viaggio Artem incontra i mercanti dell’Hansa, uno stato indipendente sorto sul tracciato della linea circolare, punto di intersezione per tutti i rami della metropolitana.
Sotto il mausoleo di Lenin vecchi credenti cercano di costruire una Unione interstazione, alla fermata Pushkinskaya i nazisti hanno riunito il Quarto Reich sotto il motto du stirbst («tu morirai»), in caratteri latini.

La mafia cecena e quella azera si contendono le arcate di Kitai Gorod, poco lontano dalle mura del Cremlino. Clan che combattono costantemente per il controllo dell’acqua, per il the di funghi, per le armi, per qualche maiale, per il potere sugli ultimi umani che ancora si reggono in piedi, pallidi e malconci, sotto la terra della Grande Città. Metro 2033 rappresenta per molti aspetti l’industria della narrativa nei tempi che corrono.

È comparso su internet capitolo dopo capitolo già nel 2002, un esperimento che ha attirato milioni di persone e ha ispirato un videogame, opere di graphic design e decine di racconti pubblicati da autori diversi (sinora se ne contano almeno cinquanta). Anche per questo Dmitry Glukhovsky, a 37 anni, può contare su lettori in trenta paesi e case editrici pronte a distribuire qualunque cosa produca.

AUTORE DI PUNTA Oggi è l’autore di punta della fantascienza russa, un genere che ha segnato la letteratura nazionale per tutto il Novecento, basti pensare al grande successo dei fratelli Strugackij (su un loro celebre libro, Picnic sul Ciglio della Strada, si basa Stalker, film capolavoro del regista Tarkovskij). Esiste, poi, un dettaglio che fa di Metro un «romanzo russo» nel senso più tradizionale del termine.

Ancora prima di compiere vent’anni, Glukhovsky ha trovato nei tunnel di Mosca lo slancio per le prime righe della sua storia spettrale, considerata ancora il suo lavoro meglio riuscito nonostante la buona accoglienza concessa ai due sequel (ambientati rispettivamente nel 2034 e 2035) e alle opere successive (vale a dire Sumerki, «Crepuscolo», e Rasskazy o Rodine, «Racconti sulla madrepatria», questi ultimi conosciuti per la verità soprattutto nei paesi post sovietici). La scelta di nascondere fra i canali della metropolitana quel che resta dell’umanità non è scontata, né tanto meno casuale. Oltre la crosta della terra scava, infatti, con un certo assillo la letteratura russa da due secoli abbondanti.

Dal sottosuolo venivano le memorie dell’uomo malato ma incapace di farsi curare raccolte da Fedor Dostoevskij e metà dell’Ottocento, poco tempo prima che la Rivoluzione cambiasse la storia del paese. Al sottosuolo appartiene il Petrovic descritto alla fine degli anni Novanta da Vladimir Makanin nel libro Underground, Ovvero un Eroe del Nostro Tempo (pubblicato in Italia da Jaca Book), un eremita in viaggio attraverso le strade di Mosca con l’unico oggetto di sua proprietà, una macchina da scrivere fabbricata in Jugoslavia. Nel sottosuolo cercheranno rifugio nel 2033 i sopravvissuti di Glukhovsky dopo la calamità nucleare. Un mondo dal quale il protagonista Artem fuggirà soltanto per qualche secondo, spingendo con le braccia una botola che porta al giardino botanico di Mosca, sporgendo la testa e lo sguardo fra le rovine, per ritornare indietro, nella metro, verso casa, senza neppure rendersi conto delle lacrime che cominciano a scorrere.

SCRITTURE UFFICIALI E NON Lo slavista Mauro Martini sosteneva che gli scrittori «non ufficiali» avessero raggiunto e vissuto la dissoluzione dell’esperienza comunista con alcuni decenni di anticipo rispetto al resto della società russa.

Dalla sua prospettiva il trattato sulla fine dell’Unione sovietica, firmato nel mese di dicembre del 1991, allineò semplicemente la dimensione storica, politica e istituzionale del paese a quella culturale. Ma l’impressione che la Russia abbia già attraversato il confine tra fantascienza e cronaca dura ancora oggi.

Nel 2009 la casa editrice Eksmo, con sede a Mosca, ha dato alle stampe il romanzo di Fedor Berezin, un autore conosciuto soprattutto negli ambienti del genere storico-fantasy. Nel racconto descrive lo scontro violento e improvviso tra l’esercito ucraino, sostenuto dalla Nato, e schiere di partigiani pronte a difendere villaggi e città dall’assalto atlantista.

UCRAINA Guerra 2010, Il Fronte Ucraino è passato in fretta dagli scaffali delle librerie al centro del dibattito politico: poche settimane dopo la pubblicazione un parlamentare di Kharkiv, Arsen Avakov, ha accusato apertamente Berezin di lavorare per conto della Russia, preparando il terreno con i suoi libri all’invasione del paese.

Per Berezin, cresciuto a Donetsk, nel cuore minerario dell’Unione sovietica, quella storia è stata soltanto la prima parte del lavoro. L’altra è cominciata nel mese di maggio del 2014, quando il governo provvisorio dell’Ucraina ha lanciato un’enorme operazione militare contro i «terroristi» nel sudest del paese, ovvero contro i cittadini che non avevano alcuna intenzione di seguire la rivolta cominciata nelle piazze di Kiev.
A quel punto ogni decisione deve essergli apparsa scontata: dopo avere infilato una vecchia uniforme dell’armata rossa con i gradi di ufficiale, Berezin s’è arruolato nelle milizie di Donetsk e ha anche preso per qualche tempo lo scranno di ministro della Difesa nella Repubblica autonoma. Il suo grande accusatore Avakov ha seguito un percorso uguale e contrario: oggi è il responsabile dell’Interno nel governo ucraino, con posizioni radicali nei confronti dei «separatisti».

Berezin ha incrociato con il suo romanzo le pieghe del futuro, ma questo non vuol dire che tenga lo sguardo rivolto al futuro: tutto il suo immaginario poggia, infatti, su glorie vere e presunte di giorni lontani. «Possiamo paragonare la fine dell’Unione sovietica a quella dell’Impero romano: una intera civiltà che muore – ha detto in una intervista a un inviato del New Yorker che lo ha raggiunto sul fronte dei combattimenti – Ora ci sono soltanto i rimasugli, paesi che sono diversi, anche se non troppo, dall’Unione sovietica. La Russia di oggi è capitalista quanto gli Stati uniti, non ha nulla a che fare con l’Unione sovietica, perché in quel sistema si poteva vivere senza sfruttare altre persone. Io ho vissuto in una civiltà speciale che ancora rimpiango. Spero che un giorno rinasca, magari in qualche altra parte del mondo».

Nell’intreccio complesso dei tempi scorre le storia di Berezin, così come quella di Donetsk, di Lugansk e di decine di città in tutta l’Ucraina, sui due fronti di una guerra vera e parallela, come se fosse un libro di fantascienza, con oligarchi alla guida di armate, ministeri della Verità, risse quotidiane fra i banchi del Parlamento, oscene bande di nazionalisti, divise e medaglie di eserciti morti e sepolti che cercano adesso di risuscitare.

Comunque sia, Fedor Berezin ha scritto un ultimo libro prima di imbracciare il fucile nelle campagne del Donbass. Il titolo è chiaro: Guerra 2011, Contro la Nato.

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