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Il vero «negotiator» è Moon Jae-in

Il vero «negotiator» è Moon Jae-in

La pace mediatica Nel 2007, come consigliere dell’ex presidente Roh Moo-hyun, era stato lui a organizzare il vertice di Pyongyang

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 29 giugno 2018

Mentre gli analisti continuano a interrogarsi sulle prospettive aperte dallo storico vertice di Singapore tra Trump e Kim Jong-un, ad aver incassato il primo successo politico del summit è stato il presidente sud-coreano Moon Jae-in. Solo una manciata di ore dopo la stretta di mano tra il presidente degli Usa e il leader nord-coreano al Capella Hotel di Sentosa – «un successo», per il 66% dei sud-coreani – in Corea del Sud si aprivano i seggi per importanti elezioni locali, oltre che per alcuni seggi vacanti all’Assemblea Nazionale.

Se queste elezioni dovevano essere un test sulla presidenza di Moon Jae-in dopo più di un anno dall’insediamento, nelle urne l’amministrazione liberal-democratica di Seul ha ottenuto un vero e proprio plebiscito. Con solo tre eccezioni, Il Democratic Party of Korea (DPK) ha vinto in tutte le principali città e province dove si votava: Park Won-soon è stato eletto per la terza volta sindaco della capitale, mentre il DPK ha ottenuto la maggioranza dei voti persino a Busan e a Ulsan, storiche roccaforti dei conservatori. Schiacciante anche il risultato delle elezioni suppletive: il Democratic Party of Korea ha conquistato 11 seggi su 12 contesi. I numeri usciti dalle urne confermano il sostegno popolare per l’amministrazione di Moon Jae-in già fotografato dai sondaggi. Secondo una recente ricerca di Gallup, all’indomani del vertice tra Trump e Kim, il sostegno per il presidente della Corea del Sud era al 79%. A maggio dello scorso anno, Moon Jae-in è arrivato alla Casa Blu forte di 11 milioni di voti e sulla scia delle imponenti manifestazioni contro la corruzione e i torbidi legami tra la politica e i grandi conglomerati industriali che dominano l’economia sud-coreana. Figlio di rifugiati dalla Corea del Nord, già attivista e avvocato per i diritti umani, fin dalla campagna elettorale Moon Jae-in aveva promesso di voler tendere la mano a Pyongyang.

«The negotiator» definì Moon Jae-in una copertina della rivista Time all’indomani dell’elezione. La scelta del presidente sud-coreano seguiva la tradizione delle amministrazioni liberal-democratiche di Seul e della cosiddetta «sunshine policy»: contatti politici, aiuti e cooperazione economica tra le due Coree. Nel primo anno alla Casa Blu, Moon ha scommesso molto nel tentativo di avviare il dialogo con la Corea del Nord. Anche nei mesi in cui la tensione tra Stati Uniti e Corea del Nord era arrivata ai massimi livelli, Moon ripeteva che le sanzioni contro il Nord devono avere l’obiettivo di «riportare Pyongyang al tavolo dei negoziati». L’inquilino della Casa blu conosce bene il dossier nucleare e missilistico della Corea del Nord. Già a metà degli anni 2000, come consigliere dell’ex-presidente Roh Moo-hyun, era stato Moon a preparare il vertice inter-coreano di Pyongyang del 2007 e alcuni round del Six Party Talks. La scorsa estate parlando a Berlino – la città che più di ogni altra ha sofferto la divisione della Guerra Fredda – Moon Jae-in ha tracciato la sua visione dei rapporti con Pyongyang e ammonito che «la denuclearizzazione della penisola coreana deve avvenire con mezzi pacifici».

Quando l’inquilino della Casa bianca minacciava «fire and fury» sulla Corea del Nord, Moon non solo escludeva qualsiasi avventura militare, ma assicurava che Seul «non si augura un collasso del Nord e non vuole la riunificazione attraverso l’assorbimento». Nel corso di un’intervista alla viglia delle elezioni Moon ha confidato che se necessario «avrebbe detto dei no agli americani» e in questi mesi a Seul si è ripetuto che il destino della penisola deve essere deciso in Corea. «Nessuno dovrebbe decidere un’azione militare nella penisola coreana senza il consenso della Corea del Sud». Insomma, al vertice di Singapore si è arrivati innanzitutto grazie alla determinazione mostrata da Moon in questi mesi. Dopo il discorso di Capodanno in cui Kim Jong-un in cui il leader nord-coreano apriva all’ipotesi di partecipare alle Olimpiadi invernali di PyeongChang, l’amministrazione di Moon Jae-in ha fatto di tutto per facilitare la partecipazione degli atleti e della delegazione arrivata da Pyongyang ai giochi.

Alla fine di aprile c’è stato il vertice inter-coreano di Panmunjom, al termine del quale Kim e Moon si sono impegnati «alla denuclearizzazione completa della penisola» e a firmare entro quest’anno un trattato di pace che ponga fine dopo 65 anni alla Guerra di Corea. Un vertice tra le due Coree che per il 94% dei coreani «ha prodotto risultati». Parlando con i giornalisti a Sentosa, Trump ha annunciato la sospensione dei «giochi di guerra» tra le forze armate di Stati Uniti e Corea del Sud. Una mossa che a Seul è apparsa in linea con l’approccio scelto da Moon Jae-in negli scorsi mesi. Certo, la Ministro degli Esteri Kang Kyung-wha ha dovuto ammettere che Seul non era stata informata da Washington della decisione di sospendere le esercitazioni militari Ulchi Freedom Guardian in agenda per agosto. «Si tratta di un gesto di buona volontà per rafforzare lo slancio nel dialogo raggiunto», ha aggiunto Kang. In fondo, alla vigilia delle Olimpiadi invernali di PyeongChang, era stata proprio l’amministrazione di Seul a chiedere a Washington di allentare la tensione posticipando le esercitazioni militari congiunte di primavera. Oltre a essersi ritagliata un ruolo di mediazione nel difficile dialogo tra Washington e Pyongyang, la Corea del Sud sta anche giocando una sua partita geopolitica tra lo storico alleato americano e la Cina, principale partner commerciale di Seul.

Tra le righe della dichiarazione con cui si è concluso il vertice inter-coreano di Panmunjom c’è un passaggio che potrebbe ridisegnare gli equilibri in Asia nord-orientale. Nel corso del vertice Kim Jong-un e Moon Jae-in si sono impegnati a rilanciare i collegamenti diretti tra le due Coree. Quando si parla della dinastia al potere a Pyongyang la cautela è d’obbligo: un’idea simile era stata lanciata già all’inizio degli anni 2000, poi un peggioramento delle relazioni tra le due Coree bloccò tutto. Il piano prevede di aprire un collegamento ferroviario tra Seul e Pyongyang, per poi andare a modernizzare la linea che dalla capitale nord-coreana porta a Sinuiju sul confine con la Cina.

Il piano – di cui si stima un costo complessivo di 35 miliardi di dollari – prevede anche un collegamento tra Seul e l’estremo oriente russo. Il messaggio è chiaro: completare l’integrazione economica nell’area più dinamica del mondo e rendere la penisola coreana un passaggio cruciale negli scambi via terra tra Europa e Asia.

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