Il voto popolare nelle elezioni dell’8 novembre racconta una storia un po’ diversa rispetto alla mancata «onda rossa». La «red wave» non c’è stata in termini di seggi al Congresso, ma, contando i voti ottenuti nelle elezioni per il rinnovo di tutta la camera dei rappresentanti, si osserva un bel distacco.

Il Partito repubblicano è in vantaggio di 5 milioni di voti sul Partito democratico, avendone ottenuti oltre 51 milioni contro gli oltre 46 milioni dei democratici. 51,6 per cento contro il 46,4 per cento, con il conteggio delle schede arrivato all’86 per cento.

Intanto la stessa composizione del senato e della camera è ancora in ballo, anche se è ragionevole pensare che alla fine il senato sarà blu, seppur di poco, e la camera rossa, seppur di poco. Non si può però escludere una maggioranza rossa in entrambi i rami del parlamento. In ogni caso, i rapporti di forza tra Casa bianca e Congresso, tra democratici e repubblicani, cambiano, a favore di questi ultimi, e Biden dovrà tenerne conto, di qui alla fine del suo mandato, nell’attuazione sia dell’agenda domestica sia di quella internazionale. Lui, certo, ora si sente più forte, ma soprattutto perché Trump esce molto indebolito dal voto. Non è detto però che per il Partito repubblicano un Trump azzoppato sia una brutta notizia. Se e come proseguirà il duello, lo sapremo martedì, con l’annunciata conferenza stampa di Donald Trump a Mar-a-Lago, mentre Biden si è preso un po’ di tempo per far sapere se si ricandiderà nel 2024, tenendo così aperte le due opzioni. Il risultato gli concede certo la possibilità di ricandidarsi, ma non potrà non tenere conto dei sondaggi molto negativi, tra gli stessi elettori democratici, sulla sua capacità, quando sarà ottantenne, di reggere un secondo mandato presidenziale.

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Per entrambi conteranno molto la chimica in atto nei loro rispettivi campi. Per Trump l’unicità e l’insindacabilità della sua leadership nel Grand Old Party sono state messe in discussione dall’esito del voto, e questo non è solo un dato politico rilevante in sé ma fa fermentare dinamiche inedite all’interno di un partito che non si sa cosa sia e che ormai da tempo è ostaggio di mondi a esso contigui dell’estremismo ideologico e religioso sapientemente organizzati e militarizzati, anche letteralmente, da Trump. Il voto ha depotenziato il movement trumpista, il Maga, presto si vedrà fino a che punto.
Per Biden il voto di midterm, quando sarà visto retrospettivamente, sarà considerato come la performance – l’ultima? – che salva la faccia di un’amministrazione altrimenti destinata a finire tra le note a pie’ di pagina nella storia dei presidenti democratici. Se sceglierà di limitarsi a un solo mandato, lo farà con dignità.

Va però sottolineato che non è stato solo un voto di sopravvivenza, il midterm. La politica non è aritmetica. Pur scontando la perdita della maggioranza al Congresso e un distacco nel voto popolare a favore del Gop, questo midterm fa la storia per la varietà e la qualità delle elette e degli eletti, sia al Congresso sia nelle elezioni statali. Un voto segnato dal protagonismo delle donne. Come elettrici, come elette, come sostenitrici delle candidate. E con quella delle donne, ancora più forte, rispetto alle passate elezioni, si è vista l’impronta di una demografia in grande, tumultuosa trasformazione, un’America nuova che sempre più prende in mano il destino della nazione: i giovani, le minoranze, i movimenti, gli Lgtbqa+, la sinistra diffusa.

È un vento che ha consentito ai dem di fare diga all’arrogante pretesa di una destra che pensava di avere già in tasca le midterms e in mano il controllo dell’America, e perfino delle vite delle persone, delle donne. È il vento che ha salvato Biden e che spingerà i democratici verso il 2024.

Si pensava che la «red wave» avrebbe varcato l’Atlantico per dare nuova energia alla destra europea. Accade il contrario. Prima Lula, ora il “nuovo” Partito democratico americano possono essere d’ispirazione. Per le forze italiane che si trovano alle prese con la sfida del rinnovamento. Il Pd innanzitutto, con in vista il suo congresso. Dove solo figure in grado di sparigliare vecchi giochi possono dargli nuova vita. Personaggi come Abou Soumahoro. O Elly Schlein, che nelle sue dichiarazioni di ieri è sembrata in sintonia con il «vento americano», quando non ha proposto la sua candidatura alla segreteria ma ha chiesto ai suoi sostenitori di costruire «insieme» un progetto e un movimento di rinnovamento in quella direzione nel segno della giustizia sociale, della sostenibilità ambientale e della pace. Se i democratici americani hanno ripreso vigore con questo tipo di figure, perché non ci provano anche i democratici nostrani?