Italia

Il tribunale di Roma condanna le riammissioni informali dei migranti

Il tribunale di Roma condanna le riammissioni informali dei migrantiIl porto di Igoumenitsa, dove è stato respinto il minore afghano – BasilioC / Wikipedia

Mediterraneo Il caso di un minore afghano respinto da Brindisi a Igoumenitsa in maniera illegale. L'Italia dovrà farlo entrare sul territorio nazionale e permettergli di chiedere asilo

Pubblicato più di un anno faEdizione del 10 agosto 2023

Il tribunale di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione civile, ha censurato le riammissioni informali realizzate sulla base di accordi intergovernativi. Per esempio con Grecia, Slovenia e Francia. Nonostante esistano intese bilaterali, scrive nell’ordinanza la giudice Lilla De Nuccio, queste non possono «introdurre modifiche o derogare alle leggi italiane o alle norme di derivazione europea o internazionale vigenti nell’ordinamento italiano». Le riammissioni, infatti, incidono sui diritti fondamentali della persona, tutelati da Costituzione, Convenzione europea dei diritti dell’uomo e Carta dei diritti fondamentali dell’Ue.

Il caso è quello di un minore afghano respinto dal porto di Brindisi a Igoumenitsa il 16 marzo scorso, senza dargli la possibilità di chiedere asilo. Il tribunale ha stabilito l’illegittimità del respingimento, riconoscendo al ragazzo il diritto di presentare domanda di protezione internazionale in Italia. Alle autorità competenti è stato ordinato di permettergli l’ingresso immediato sul territorio nazionale. La strada potrebbe essere quella di un visto internazionale per motivi umanitari.

Il ricorso è stato presentato dagli avvocati di Asgi Dario Belluccio, Amarilda Lici e Anna Brambilla, con la collaborazione delle associazioni No Name Kitchen, Lungo La Rotta Balcanica, Equal Rights Beyond Borders. Nel provvedimento sono anche sottolineate le responsabilità delle autorità che effettuano respingimenti verso uno Stato conosciuto per le terribili condizioni dei suoi centri di accoglienza, come la Grecia.

Queste valgono anche se c’è il rischio che simili violazioni si concretizzino non nel primo Paese, ma in uno successivo. Una nuova, sebbene indiretta, condanna dei «respingimenti a catena» ampiamente documentati su un’altra rotta: quella balcanica.

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