Il film di Walt Disney Mary Poppins è stato realizzato nel 1964 ma la storia è ambientata a Londra nel 1906. Nel film, il signor George Banks, interpretato da David Tomlinson, è un banchiere integerrimo, per i canoni dell’epoca, e verso la fine del film offre al figlio Michael la possibilità di depositare due penny nella sua banca. Il signor Banks usa solide argomentazioni per convincere, invano, il figlio: «Vedi Michael, sarai azionista di ferrovie in Africa, dighe in Canadà, flotte sopra i mari, canali che uniscon gli oceani fra lor, milioni di piante di tè».

FLASH FORWARD, più di un secolo dopo. Kenya, Africa, anno 2024. Vita vera: la numerosa comunità dei Kipsigis, che vive principalmente nelle contee di Bomet, Kiambu e Kericho, nella rigogliosa Rift Valley keniana, sono sul piede di guerra contro un nemico quasi invisibile: l’industria mondiale del tè.

Lo scorso 6 maggio infatti, la società dello Sri Lanka Brown Investments ha annunciato di aver raggiunto un accordo per acquistare le società di tè Lipton in Kenya, Tanzania e Ruanda dalle loro società madri, tutte con sede nel Regno Unito e nei Paesi Bassi: questa operazione, che renderà la società cingalese la più grande azienda teiera del mondo, con circa la metà del commercio globale di tè e una capacità produttiva di 87 milioni di chili di tè ogni anno, sarà effettuata tramite la controllata B-Commodities, con sede negli Emirati Arabi Uniti.

Browns Investments acquisterà il 100% di Lipton Teas and Infusions Rwanda, con sede in Ruanda, e il 100% di Lipton Teas and Infusions Tanzania, con sede in Tanzania. In Kenya, il gruppo cingalese acquisterà il 98,56% della Lipton Teas and Infusions Kenya e il 51,99% di Limura Tea. Un anno fa Brown Investments aveva già acquistato la Maturata Plantation e le sue piantagioni di tè, precedentemente di proprietà della James Finlay & Co, che acquistò i terreni nelle contee di Kericho e Bomet, in Kenya, quasi un secolo fa, nel 1925.

TERRENI CHE FANNO GOLA a tutti: CVC Capital, con sede in Lussemburgo, ha acquistato le proprietà Lipton in Kenya, Tanzania e Ruanda nel 2022 da Unilever per 4,5 miliardi di euro, ma quelle piantagioni di tè a Kericho, sugli altipiani nella Rift Valley meridionale, si trovano su terre da cui i membri della comunità Kipsigis furono sfrattati con la forza dai coloni britannici più di cento anni fa. Qui, un tempo, si pascolavano bovini e capre, si cacciavano antilopi e si raccoglieva il miele addentrandosi nella foresta: oggi il panorama è molto più regolare, un ordine che rassicura e meraviglia lo sguardo ma che non racconta di cento anni di violazioni, generazioni senza terra, battaglie per la giustizia: in anni più recenti, la comunità ha dovuto affrontare i licenziamenti dovuti alla meccanizzazione da parte delle multinazionali che gestiscono le piantagioni, ma anche presunte violazioni di abusi sessuali contro le lavoratrici.

Accanto, Kibore Cheruiyot Ngasura, 95 anni, membro della comunità Kipsigis cacciata dalle proprie terre nel 1934

Il clan della contea di Kericho sostiene che i terreni su cui si trovano le 11 piantagioni e gli 8 stabilimenti di produzione di tè acquistati dalla Browns a Bomet, Kericho e Kiambu appartengano a loro e che non siano stati consultati durante il processo di vendita: il clan Kipsigis si attribuisce una quota di proprietà del 100%, citando le ingiustizie storiche sulle proprietà fondiarie di quella terra e lo sfratto forzato dei loro antenati da quei territori. Browns Investments avrebbe offerto al clan una quota del 15%, ma il clan non è stato d’accordo.

COSTITUITISI NELLA KENYA TEA Growers Association, i grandi produttori di tè cercano da anni di contrastare le richieste delle comunità locali: il problema è che le proprietà di Lipton in Kenya fanno gola a un altro offerente, l’azienda agricola Sasini. È un consorzio che ha sede a Nairobi e che fa capo alla Kipsigis Community Clans Organization, un gruppo ombrello di anziani, clan e società cooperative su base etnica che affermano di rappresentare oltre 340.000 membri della comunità Kipsigis: il consorzio si è formato proprio per cercare finanziamenti per l’offerta alla Lipton ma i suoi membri sostengono che questa, che sarebbe stata competitiva, non sia stata nemmeno presa in considerazione.

Secondo il Tea Board del Kenya, il Paese produce ogni anno oltre 450/550 milioni di chili di tè, di cui il 91% viene esportato e il 9% consumato localmente. Tra le sole contee di Cherico e Bomet ci sono 42 piantagioni di tè sparse su 650 mila ettari di terreno: nel 2017, la National Land Commission (NLC) del Kenya ha condotto un’indagine sulle rivendicazioni delle comunità sfrattate dalle contee di Kericho e Bomet: la NLC raccomandava un audit approfondito sulle proprietà fondiarie e che le società private compensassero le comunità locali con servizi pubblici e di welfare locale.
Inoltre, i contratti di locazione da 999 anni delle società sarebbero dovuti essere convertiti in contratti di locazione da 99 anni. Ma tutto è rimasto nelle belle intenzioni. Almeno per ora.

L’ANNO SCORSO l’industria del tè del Kenya ha registrato i proventi da esportazione più alti di sempre, pari a 180,57 miliardi di scellini (1,2 miliardi di euro), mentre ulteriori 16,4 miliardi di scellini sono stati generati dalla vendita di tè nel mercato interno: significa che tutto il tè del Kenya (570 milioni di chili nel 2023, record assoluto) vale quasi 200 miliardi di scellini (1,41 miliardi di euro). Il governo del Kenya sta lavorando per migliorare la catena del valore del tè e l’obiettivo è di aumentare il valore delle esportazioni a 272 miliardi di scellini entro i prossimi tre anni. Una sfida, nel contesto attuale di rivendicazioni fondiarie e denunce globali, che bisogna affrontare in fretta: negli ultimi anni il calo dei prezzi del tè è stato compensato dal deprezzamento dello scellino keniano, che ha portato un aumento dei guadagni per gli agricoltori. Una tendenza che, oggi, si è invertita e che, con la questione fondiaria irrisolta e le rivendicazioni dei Kipsigis, rischia di far tornare il mercato globale del tè ai tempi del Boston Tea Party. Tempi, quelli, anch’essi citati dal signor George Banks in Mary Poppins.