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Il Supernazareno romano (ma non solo) per l’uscita di scena di Berlusconi

Il Supernazareno romano (ma non solo) per l’uscita di scena di Berlusconi

Comunali Renzismo e berlusconismo alla prova del voto di Roma, con Bertolaso, terzo incomodo, per impedire il ballottaggio Meloni-Raggi e offrire al Pd i voti di quel che resta di Fi. Il Cavaliere oggi pensa a salvare un resto di prestigio personale, di potere politico e tutto il suo potere imprenditoriale

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 27 aprile 2016

Nella intricata, contraddittoria e persino lacerante vicenda delle elezioni comunali a Roma, molte ipotesi sono state affacciate e discusse: ma ne manca una, il cui carattere apparentemente fantasioso non dovrebbe impedire di tenerla presente, e considerarla con grande attenzione.

E’ quella che io definirei del rinnovato patto del Nazareno: anzi, del vero, gigantesco Superpatto del Nazareno.

La premessa riguarda il giudizio che si sente pronunziare sempre più spesso su Silvio Berlusconi: cotto, incerto, confuso… . Berlusconi si trova indubbiamente in una situazione difficilissima: non può più auspicare che gli sia riconosciuto un ruolo di guida nel centro-destra, i suoi clamorosi successi che dai primi anni ’90 del secolo scorso arrivano fino alle soglie di questo millennio, sono indubbiamente dietro le spalle.

Però è sbagliato escludere che non continui a pensare, con l’astuzia che gli è propria, al proprio destino e al proprio ruolo: personale, politico e, si badi bene, imprenditoriale.

Allora si capisce perché si è scelto un proprio candidato al Comune, un fedelissimo, a lui legato da molteplici vincoli, come Bertolaso, e continui nonostante tutto a sostenerlo. Perché? Perché la fine totale e drammatica di Berlusconi e del berlusconismo consiste oggi essenzialmente nel prevalere, e nell’affermarsi vittoriosamente, dell’alleanza Meloni-Salvini. E questo, si badi bene, non solo a Roma, ma, in prospettiva, nel resto d’Italia. E poi, diciamo la verità, cos’ha a che fare Berlusconi con l’alleanza Meloni-Salvini? Furbo, interessato sostanzialmente solo al proprio tornaconto personale, di destra quanto si vuole, ma senza connotazioni estremistiche, che non riguardino direttamente la conservazione e il benessere della propria persona, oggi deve pensare soltanto a salvare un resto di prestigio personale, di potere politico e tutto il suo immenso potere imprenditoriale.

Se le cose stanno così, Marchini, cane sciolto di un’imprenditoria palazzinara romana significativa solo in ristretti orizzonti locali, non gli serve. E soprattutto deve scongiurare il pericolo che Meloni arrivi al ballottaggio con, inevitabilmente, la grillina Raggi, perché se questo avvenisse potrebbe accadere che l’intera massa popolare di centro-destra, che a Roma è ingentissima (e magari qualche inaspettato contributo di sinistra: una grillina Sindaco di Roma? Mai e poi mai!), si riversasse su di lei, incoronandola Sindaco di Roma. Se poi al ballottaggio arrivano Meloni e Raggi, l’ipotesi che Berlusconi, pur avendo mantenuto in piedi fino in fondo la candidatura di Bertolaso, possa allora contrattare qualcosa con la destra estrema di Meloni e Salvini, sarebbe impensabile, lo prenderebbero giustamente a pesci in faccia.

Dunque, Berlusconi continua a sostenere Bertolaso e, come ormai pare, lo porta fino al voto (conditio sine qua non del nostro discorso). Lo fa per rendere meno probabile che Meloni vada al ballottaggio? Sì, non c’è altra spiegazione: per rendere meno probabile che Meloni vada al ballottaggio, per impedirlo se gli va bene. Altrimenti, perché si ostinerebbe contro ogni apparente ragionevolezza a mantenere Bertolaso in corsa? Bertolaso non ha nessuna possibilità né di arrivare al ballottaggio né tanto meno di diventare Sindaco. Però può togliere voti alla Meloni, e, dal momento che è restato in campo, più gliene toglie, meglio è, generalmente parlando, ma anche per Berlusconi, una dimostrazione di forza residua, non ancora pereunte.

La prima parte del ragionamento è, secondo me, credibile e fondata, anzi, addirittura già decisa. La seconda parte è più problematica, ma non impossibile, e oltre tutto, come la svolgiamo noi, renderebbe più logica e più fruttuosa (per Berlusconi, s’intende) anche la prima.

Infatti. Se al ballottaggio non va Meloni, è altamente probabile, anzi quasi certo, che vadano l’ineliminabile Raggi e il Pd Giachetti (il quale dovrebbe da subito registrare che, se ci va, ci va in conseguenza prevalentemente della scelta berlusconiana). Ma se al ballottaggio vanno Raggi e il Pd Giachetti, che fa allora Berlusconi? Ha aperte di fronte a sé due (sole) strade: o dichiara puramente e semplicemente la propria sconfitta, scompaginando definitivamente le proprio truppe e guadagnandosi senza frutto alcuno l’odio mortale di Meloni e Salvini; oppure dichiara – più o meno esplicitamente, i modi giusti si trovano – che, per motivi di superiore interesse nazionale – ad esempio, per l’obbligo etico-politico e strategico-nazionale d’impedire che un grillino divenga Sindaco della Capitale, – è più opportuno, per gli elettori che sono stati suoi e di Bertolaso, di non guardare con eccessivo disdegno il candidato del Pd. Anche votarlo? I più ragionevoli, ossia i più autenticamente berlusconiani, potrebbero farlo.

Se fa questo, perderà una parte del suo partito e del suo elettorato: ma poi, io penso, non grande, perché una parte del suo partito e del suo elettorato ha cominciato, sia pure faticosamente, a pensarla come lui. E cioè: con la destra estrema non si possono avere rapporti, l’unica prospettiva credibile in questo caso è di esserne risucchiati e semplicemente cancellati. E se non si hanno rapporti con la destra estrema, con chi possono avere rapporti un capo e un partito di centro-destra moderato come lui e come Fi?

Potrebbe Giachetti rifiutare un’offerta così generosa? Non potrebbe, perché altrimenti la Raggi l’avrebbe vinta. Ma se l’accetta, si apre una strada inedita, a Roma e in Italia. E cioè: si creano le condizioni perché la maggioranza di governo – attraverso passaggi e compromessi, certo, tutti da studiare – l’allarghi a dismisura: altro che Alfano! Altro che Verdini! Altro che (primo) patto del Nazareno! Saremmo all’autoidentificazione consapevole di una grande forza, sostanzialmente omogenea per indirizzi, cultura, metodi di governo. Perché – se uno scende serenamente e obiettivamente in profondità, su di una serie qualificante di questioni e di principi, renzismo e berlusconismo sono indubbiamente più convergenti che divergenti, più integrativi che contrappositivi.

Del resto, se dall’altra parte si dichiara come propria aspirazione suprema, come proprio obiettivo imprescindibile di pensiero e di azione, il Partito della Nazione, da che parte volete che da quella parte si guardi, – in Italia, certo, in Italia, – se non verso la destra moderata di Berlusconi e di Fi? Il Partito della Nazione riunisce ed unifica il meglio che sta di qua con il meglio che sta di là (il meglio, s’intende, nell’ambito di questa prospettiva…): non necessariamente in una forma organizzativa unitaria, anzi.

Il Partito della Nazione ha una configurazione ideale prima che politica, gli accordi e le spartizioni vengono dopo. Paradossalmente, potrebbe essere Berlusconi, e non Renzi, a dargli l’avvio decisivo. Certo, il Cavaliere è destinato comunque a uscire di scena (se non altro per motivi anagrafici ormai troppo cogenti): ma può farlo come padre nobile, riconosciuto e riverito da tutti, – da tutto, press’a poco, l’establishment politico italiano, salvo, s’intende, quegli idioti dei lepenisti italiani, chiaramente, loro, senza futuro alcuno, e gli uomini della sinistra, tuttavia, almeno per ora, sostanzialmente ininfluenti nel realizzare od ostacolare un tale progetto. In fondo, bisogna riconoscere che la strada l’ha aperta lui, nel ’94.

P.S. Se invece, nonostante tutto, a Roma, per un motivo e/o per un altro, diventa Sindaco o Meloni o Raggi, allora Berlusconi resta in mutande. Ma non sarebbe il solo.

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