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Il sogno di Obama, l’incubo di Donald Trump

Il sogno di Obama, l’incubo di Donald TrumpMarcia contro Trump a Los Angeles prima dell'insediamento, il 18 dicembre 2016 – REUTERS/Kevork Djansezian

Barack Obama, il primo presidente nero. Vero, ma è una parte della verità, neppure quella dominante. Figlio di un immigrato, è questa la grande novità della sua presidenza, un’identità meno […]

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 7 settembre 2017

Barack Obama, il primo presidente nero. Vero, ma è una parte della verità, neppure quella dominante. Figlio di un immigrato, è questa la grande novità della sua presidenza, un’identità meno iconica del suo essere africano americano ma in realtà più indigesta all’ampio arco dei suoi nemici.

Anche per questo, anche per ragioni personali, ha sostenuto la causa dei dreamers e ora, da ex presidente, fa la scelta non convenzionale di prendere duramente e nettamente posizione contro la decisione di Trump di porre fine al cosiddetto Daca.

Vale a dire, il percorso verso l’ottenimento della cittadinanza per 800.000 giovani, figli di immigrati entrati negli Stati uniti senza documenti, cresciuti e formatisi in America, molti dei quali già in posti di lavoro anche qualificati.

Donald Trump ha costruito la sua carriera politica finanziando e orchestrando una martellante e incessante campagna di falsità contro il diritto di Obama a sedere nell’ufficio ovale, perché privo – era il suo racconto – del requisito indispensabile per essere presidente, l’essere nato sul suolo americano. Il movimento di Trump, i birthers (birth significa nascita), non ha mollato il 44mo presidente americano neppure un giorno negli otto anni della sua permanenza alla Casa bianca con l’incessante richiesta di mostrare il suo certificato di nascita.

La mobilitazione dell’elettorato bianco arrabbiato ha avuto nella negazione della legittimità del presidente Obama una spinta formidabile. E ha alimentato con forza la corsa del candidato Trump.

Ed è stato uno degli errori del Partito democratico e dello stesso Obama avere considerato il movimento dei birther e la bile che esso alimentava una manifestazione di razzismo ripugnante ma minoritaria e incapace di tradurre in politica e in voti il suo fiele.

Non si è pero trattato di una sottovalutazione contingente. Perfino Obama, se non fosse stato oggetto egli stesso bersaglio di una persistente campagna razzista e xenofoba, non avrebbe abbracciato con convinzione la causa dei dreamer, scegliendo la via di un provvedimento esecutivo, e aggirando così un Congresso a maggioranza repubblicana ostile a ogni forma di amnistia per gli immigrati privi di documenti e indulgente alla narrativa dei birthers che riduceva lo stesso presidente alla condizione di dreamer.

I dreamers sono per lo più latinos, e solo quando si è capito davvero che l’elettorato ispanico muove voti decisivi in stati decisivi – e intanto i repubblicani rimontavano nelle elezioni parlamentari – gli strateghi obamiani si sono messi in moto per un tema considerato prioritario dalla comunità latina. Romney perse le presidenziali per questo, per averla snobbata, anche quando era evidente a tutti la sua forza.

Infatti, i repubblicani pagheranno cara la mossa di Trump alle prossime elezioni di medio termine, se nel frattempo il Congresso non farà qualcosa, una legge che somigli al Daca.

Sì, va detto che sulla regolarizzazione degli immigrati presenti in America e sul controllo della nuova immigrazione, pure il Partito democratico si è mosso tardi, dopo aver avuto per troppo tempo posizioni oggi inconcepibili.

Anche Bernie Sanders. Anche i sindacati.

Oggi giustamente deprecano la misura del presidente Trump, ma dieci anni fa, prima della presidenza Obama, erano molto netti nel chiedere controlli draconiani alle frontiere ed erano contrari a percorsi di cittadinanza per gli immigrati illegali, perché temevano che l’arrivo di nuova e abbondante manodopera a buon mercato si sarebbe riverberato negativamente sull’occupazione, già messa a dura prova dalla delocalizzazione e dell’automazione.

E lo stesso Obama, avendo posto in cima alle sue priorità la riforma sanitaria, aveva messo in secondo piano il tema dell’immigrazione.

Certo è che oggi anche chi votò contro è a favore del Daca. Forse perché la posta in gioco ora è più chiara.

Quest’amministrazione non sta solo cercando di seppellire l’obamismo e azzerare i passi avanti dell’ultimo decennio, ma alimenta e diffonde di proposito il veleno della divisione e del conflitto tra comunità nella società.

Donald Trump è un presidente sempre più trincerato nella sua fortezza elettorale bianca, perché solo lì si sente al sicuro, con un partito, che non è il suo, in perpetua oscillazione tra l’assecondare i suoi repentini e spesso incongrui movimenti e la tentazione di escogitare un golpe per tornare alla «normalità».

Il risultato è un’America senza rotta e in balia di pulsioni oscure e oscurantiste.

È in questo quadro che va vista la sortita di Obama a favore dei dreamer: non solo per difendere un elementare principio di giustizia, ma per tentare di bloccare una serie di picconate alla società plurale, un accanimento che avrebbe come esito la trasformazione del paesaggio americano in uno scenario di guerra mediorientale.

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