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Il signor Joseph e la speranza in un Kenya che non c’è

Il signor Joseph e la speranza in un Kenya che non c’èIn partenza da Nairobi verso i villaggi: il ritorno a casa per votare – Ap

Africa Oggi il Paese al voto tra promesse elettorali e una realtà sempre più complessa, dove le medicine costano troppo, la sanità è lontana e i trasporti sono inabbordabili per buona parte della popolazione 

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 9 agosto 2022

Il sig. Joseph Warui è a letto tre settimane: non sta bene, non riesce a camminare e parla a fatica. Non vive in un villaggio sperduto, ma in un sobborgo di Ongata Rongai, una cittadina della periferia di Nairobi. L’ambulanza non esiste, ma neanche taxi e auto arrivano facilmente a Enrankao e in ogni caso ci vogliono soldi per andare in ospedale.

Un autista di Uber chiede 1.200 scellini (circa 10 euro) per portarlo al St. Mary Mission Hospital, una vicina gli presta i soldi, ma in ospedale per la visita e le analisi servono altri 40 euro altrimenti non si entra. Ore di attesa finché un parente non recupera la cifra, analisi del sangue, urine e lastra.

RESPONSO: una serie di medicine e necessarie una serie di terapie quotidiane che dovrebbe fare in ospedale: il medico vorrebbe far fare a Joseph la prima seduta, ma non può pagare, quindi esce. Per ritornare a casa non si trova un’auto e non ci sono i soldi.

Altra attesa, si fanno le 18 quando arriva il prestito di un amico, un’auto lo porta fino a Masai Lodge (600 scellini), aspetta e verso le 20 un’auto accetta di trasportalo per ulteriori 800 scellini. Joseph arriva a casa con un discreto debito (circa 15 giorni di stipendio), non ha le medicine, non può fare le terapie. Si siede e ascolta alla radio tutto quanto faranno in Kenya nei prossimi anni ed è felice.

Un giorno il countdown è iniziato e non vale che gli svizzeri hanno inventato l’orologio e gli africani il tempo. La frenesia del chronos in questo momento prevale perché in Kenya il 9 agosto ci si gioca “tutto”. Il sistema elettorale prevede infatti che in una sola giornata vengano eletti rappresentanti locali, presidenti di contea, deputati, senatori e presidente della Repubblica, poi per cinque anni non c’è possibilità di rivalsa.

Non dovrebbe neanche esserci madoadoa, voto disgiunto, mischiato, per cui le persone potrebbero votare un partito nella contea e un altro a livello nazionale. Chi vince prende tutto. Le coalizioni favorite sono due: l’alleanza Azimio la Umoja che sostiene Raila Odinga alla presidenza e United Democratic Alliance Party a favore di William Ruto.

AL MOMENTO i sondaggi sono in favore di Odinga in vantaggio con uno stretto margine, 46,7% contro il 44,4% di Ruto secondo Tifa, non abbastanza per assicurarsi la presidenza, poiché il vincitore ha bisogno della maggioranza di oltre il 50% per evitare il ballottaggio.

Altre agenzie, come Ipsos, danno un maggior vantaggio a Raila il 47% contro il 41% di Ruto, ma comunque sempre sotto il 50%. Gli indecisi potrebbero fare la differenza secondo Samuel Muthoka, direttore di Ipsos: «Sono il 4% e chi avrà la capacità di attirare anche solo la metà degli indecisi determinerà l’esito elettorale: vittoria per Odinga, ballottaggio che potrebbe permettere a Ruto di riaprire i giochi».

Il Paese appare spaccato in due, ma la divisione più profonda e all’interno della comunità Kikuyu, il gruppo più importante in termini elettorali (ed economici). Secondo i sondaggi dell’agenzia di ricerca Tifa, nella zona del Monte Kenya il 66% delle persone sarebbe a favore di Ruto contro il 27% di Odinga. Nonostante gli anziani Kikuyu chiamino con orgoglio il presidente Kenyatta «nostro figlio» e la vice presidente nomina Martha Karua «muiretu wathe ndemwadike» (figlia della nostra terra).

IL CANDIDATO alla vice presidenza per il partito Uda Rigathi Gachagua giovedì scorso è stato condannato per corruzione: il tribunale ha richiesto il rimborso 202 milioni di scellini (1,7 milioni di dollari), fondi che Gachagua avrebbe ricevuto da agenzie governative senza dimostrare di aver fornito beni o servizi.

La particolarità di queste ultime elezioni è il mescolamento etnico messo in atto dai partiti che ha evitato fin ora una tribalizzazione della campagna elettorale. Artefice principale di questo cambiamento è il presidente uscente Uhuru Kenyatta che ha appoggiato apertamente Raila Odinga e ha esortato i propri concittadini a non eleggere William Ruto, definendolo «un ladro».

Kenyatta ha rivendicato tutte le infrastrutture costruite durante il suo mandato dalla ferrovia Nairobi-Mombasa, alle strade, alle dighe: «Non voglio sentirvi piangere e avere rimorsi di coscienza. Ci sono persone che raccontano storie simpatiche, sono dolci come il miele e sanno essere convincenti, ma sono veleno».

Rivolgendosi ai giovani, Kenyatta ha utilizzato la metafora della carriola, simbolo del partito Uda di Ruto: «Chiedetevi se avete visto mai un Paese migliorato da carriole. Volete carriole o la possibilità di mandare i vostri figli a scuola? Se volete spingere le carriole, va bene».

Ruto ha invitato il presidente a «smetterla di parlare di me». Le parole dei leader si trasformano in insulti sui social e in incitamento all’odio. Tant’è che l’organismo di controllo della coesione etnica del Kenya (Ncic) ha richiamato Facebook dando alla società sette giorni di tempo per contrastare l’incitamento all’odio sulla piattaforma, pena la sospensione.

GLOBAL WITNESS ha affermato in un rapporto pubblicato giovedì scorso che Facebook ha accettato e pubblicato più di una dozzina di pubblicità politiche che violavano le regole del Kenya. Secondo il commissionario della Danvas Makori dell’Ncic, «Facebook viola le leggi del nostro Paese. È un vettore di incitamento all’odio e disinformazione».

Dall’azienda un portavoce ha dichiarato che Facebook ha adottato «passi approfonditi» per eliminare l’incitamento all’odio e i contenuti provocatori e sta intensificando gli sforzi. Il ministro degli Interni Fred Matiang’i ha escluso la possibilità che il suo governo possa oscurare Facebook.

 

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