Il Sì punta a destra, ma il No rischia l’astensione della rabbia dei lavoratori
Il governo del capo trova corrispondenza nel nuovo sistema di produzione che dà tutto il potere all’imprenditore. Renzi e Marchionne, due facce della stessa medaglia
Il governo del capo trova corrispondenza nel nuovo sistema di produzione che dà tutto il potere all’imprenditore. Renzi e Marchionne, due facce della stessa medaglia
Per vincere il referendum costituzionale il fronte del Sì, come sostiene il segretario del Pd, ha bisogno dei voti della destra. Quello del no può fare a meno dei voti dei lavoratori? Le donne e gli uomini che ,alle dipendenze o in forma autonoma, rimangono comunque subordinati a un padrone, anche quando si occulta dietro un algoritmo, costituiscono un terzo del corpo elettorale.
Per una lunga stagione le lotte operaie hanno avuto nella Costituzione un punto di riferimento per combattere ingiustizie sociali e arretratezze culturali e nel Parlamento il luogo di rappresentanza di interessi diversi , in grado di recepire le domande di cambiamento del Paese. Ne sono venute tante leggi di riforma, dalla scuola per tutti al diritto alla salute, dallo Statuto dei lavoratori alla legislazione sul divorzio e sull’aborto. L’Italia moderna, trasformata anche intellettualmente e moralmente, viene da lì. Tutto questo è stato corroso dall’ economia globalizzata e dal nuovo sistema organizzativo della produzione. Dopo la crisi del 1973 neoliberismo e toyotismo hanno corso il mondo, provocando da un lato libero mercato senza limiti e distruzione del Welfare e dall’altro aziendalismo e precarietà. Da noi gli esiti ultimi sono stati il jobs act e i voucher.
Gli oppositori di Matteo Renzi, dentro o fuori dal Pd, dovrebbero porsi la questione di come difendere una Costituzione avanzata in un Paese che arretra, come dimostra per prima la perdita progressiva dei loro diritti da parte dei lavoratori. La pur significativa presa di posizione della Cgil di aperta critica alla controriforma costituzionale non basta a togliere ad essi quel senso di rabbia e frustrazione che li fa sempre di più estranei rispetto a una politica che non li rappresenta e non si occupa di loro . Per questo, e non vale solo per il nostro Paese, scelgono il voto di protesta o disertano le urne. Negli Usa anche Francis Fukuyama deve riconoscere che aver lasciato i lavoratori senza protezione «è stato un errore di cui sentiamo le conseguenze anche oggi: anche per questo Trump può davvero vincere le elezioni». Da noi non basta dire, come fa Pierluigi Bersani, «la sinistra deve trovare una nuova piattaforma di base di diritti del lavoro», perché lo dice a un Pd che ha rotto ogni legame ideale e programmatico con i lavoratori. Matteo Renzi, coerentemente, pensa che lavoro, imprese e referendum stiano bene insieme se si parla a chi «rischia e lotta per creare posti di lavoro». Sono quegli imprenditori, dalla Fca alla Geox, che, applicando il toyotismo nelle sue diverse varianti, hanno innescato una loro rivoluzione culturale, che impone ai lavoratori (non più dipendenti, ma «collaboratori») adesione ai valori dell’impresa e partecipazione subalterna; spirito di corpo e assenza di conflitto; fine della mediazione sindacale. La controriforma costituzionale, accentrando il potere nel Governo sostenuto da una maggioranza parlamentare eletta da una minoranza del corpo elettorale, porta al «governo del capo» e trova rispondenza nel nuovo sistema di produzione che dà tutto il potere all’imprenditore o al suo amministratore delegato. Matteo Renzi e Sergio Marchionne sono due facce della steso processo che scava nel profondo non solo della politica, ma delle coscienze.
E questo vale anche per la forza elettoralmente più forte del fonte del no, il M5S, che ha portato al centro della scena politica la piccola borghesia delle professioni e del nuovo lavoro autonomo. Sono i ceti medi urbani «colti e connessi», che contestano i «poteri forti», ma contrappongono anche il «rischio» del farsi imprenditori di sé stessi ai «privilegi» dei lavoratori sindacalizzati e per questo se ne tengono lontani. Sta probabilmente qui la spiegazione di una campagna referendaria «tiepida», come lamenta lo stesso Beppe Grillo.
Che prospettiva ha una battaglia in difesa di procedure democratiche, quando dal corpo vivo della democrazia (basta guardare la composizione delle assemblee elettive o dei gruppi dirigenti dei partiti) è amputata la parte che ne dovrebbe essere il fondamento, i lavoratori? La storia recente dimostra che se non si mette insieme «lavoro e libertà» ( era il programma della marcia su Washington di Martin Luther King…), gli esiti non sono mai positivi.
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