A Dakar, capitale del Senegal, in ogni angolo della città si possono trovare ristoratori di strada intenti ad affettare, spalmare e riempire con salse di vario tipo sandwich e baguette dalla mattina alla sera. Cipolla e maionese, piselli e patate, burro o cioccolata. C’è di tutto e il costo di un panino farcito è di pochi centesimi di euro. In Senegal, paese a basso-medio reddito dell’Africa sub-sahariana, il consumo di grano è molto elevato e il pane è mangiato in grandi quantità poiché poco costoso e facile da combinare con companatici preparati all’istante.

«PER IL SENEGAL IL PANE è un prodotto sociale», spiega Amadou Gaye, presidente della Federazione Nazionale dei Panettieri del Senegal. «Rappresenta la base della colazione e della cena dei senegalesi. Inoltre, per le famiglie che non possono permettersi il riso, il pane è spesso l’unica alternativa disponibile».

FINO A FINE 2021 UNA BAGUETTE costava 150 franchi Cfa (circa 20 centesimi di euro) e, per la crisi sanitaria e la fluttuazione dei mercati mondiali, all’ inizio del 2022 è passato a 175 franchi Cfa (circa 30 centesimi di euro). Una differenza forse minima agli occhi di un europeo, ma dall’impatto pesante sul bilancio mensile delle famiglie senegalesi, dove spesso il salario di una sola persona deve poter sfamare una decina di bocche.

OLTRE A QUESTO RECENTE AUMENTO, molto probabilmente il costo del pane in Senegal è destinato a salire ancora e molto presto, per le conseguenze del conflitto russo-ucraino in corso. «Importiamo il 55% del nostro grano dai due paesi in guerra, dalla Russia in particolare», continua il presidente della Federazione dei Panettieri. «Attualmente disponiamo di uno stock sufficiente per due o tre mesi al massimo, non di più. Oggi la farina si compra a 350 euro a tonnellata, ma da qua a poche settimane il prezzo potrebbe salire a 450-500 euro».

IL MESE DI APRILE 2022 PER I SENEGALESI rappresenterà un periodo molto delicato, perché coincide con il Ramadan, momento dell’anno in cui il pane è consumato in quantità ancora maggiori, soprattutto durante il ndogou, ovvero la rottura serale del digiuno. «Lo Stato ha garantito che per tutto il mese del Ramadan manterrà i prezzi calmierati, ma non ne sono così sicuro poiché di fatto non ha risorse sufficienti per sovvenzionare la differenza di prezzo e mantenere i costi attuali. La mia più grande inquietudine è che, oltre a all’inflazione, vedremo presto una penuria di pane e farina, come quanto sta succedendo in Tunisia», spiega Amadou Gaye.

SECONDO IL PRESIDENTE della Federazione dei Panettieri del Senegal, che a giorni parteciperà alla Coppa del Mondo di Panetteria a Parigi, la vera soluzione per contrastare situazioni come questa è tornare alle origini della tradizione agricola e culinaria senegalese: «Dobbiamo ricominciare a coltivare i nostri cereali, come il miglio e il fonio, che sono ricchi di proteine e resistenti alle condizioni climatiche imprevedibili. È arrivato il momento di lasciarci i cereali di importazione alle spalle. Sto cercando di dialogare con lo Stato, affinché capisca che dobbiamo sviluppare delle filiere di trasformazione locali, che diano da lavorare alle donne e ai giovani. Continuare a mangiare baguette di stampo francese non ci fa bene, né alla salute né all’economia».

ALLO STESSO MODO LA PENSA ANCHE il signor Thiam, che gestisce un piccolo panificio a Mamelles, quartiere residenziale della capitale. Thiam è uno dei pochi panettieri in Senegal a vendere del pane arricchito con cereali e piante locali, come la moringa. «I miei prodotti vanno a ruba, ma continuo a produrre comunque anche la classica baguette a base di grano, perché la gente è abituata a questo tipo di pane». Ciò che il signor Thiam teme di più, oltre all’aumento del prezzo della farina, è l’inflazione dei prodotti intermedi, attualmente importati dal paese e necessari alla produzione del pane e al suo imballaggio, lievito e carta soprattutto. «A dicembre dell’anno scorso 5 chilogrammi di carta li pagavo 42.000 franchi Cfa (circa 60 euro), oggi il prezzo è salito a 110 mila franchi Cfa, più del doppio, a causa dei costi legati alla ripresa delle attività economiche post-pandemia», spiega il panettiere. «Il rilancio del commercio è stato talmente veloce che i container si stanno facendo rari e il costo del materiale importato è salito. Quello che mi chiedo è: cosa c’è da aspettarsi nei prossimi mesi con i costi del trasporto marittimo destinati a salire? Per non parlare del carburante necessario per alimentare i forni che nella maggior parte dei casi qui da noi sono a combustione».

NONOSTANTE GLI OLTRE 6 MILA KM che separano il paese sahariano dall’Ucraina, il Senegal ha tutte le ragioni per temere le conseguenze del conflitto. Il suo approvvigionamento in materie prime dipende in larga misura dalle importazioni dai due paesi in guerra e, di fronte all’invasione russa dell’Ucraina e alle sanzioni internazionali imposte alla Russia, le prospettive di un calo dell’importazione di cereali sta facendo temere un’impennata dei prezzi in buona parte del continente africano.

IL DOTTOR FAMARA SANE, DOCENTE di storia all’Università Cheikh Anta Diop di Dakar e senatore negli anni 2007-2012, spiega: «Le relazioni economiche fra Africa e Ucraina si sono consolidate all’inizio degli anni duemila. Il Senegal esporta verso l’Est-Europa e l’Asia soprattutto pesce e prodotti minerali, mentre importa prodotti energetici e cereali. Nonostante il nostro paese abbia una forte vocazione agricola, dipende considerevolmente dall’importazione estera di cereali, grano in particolare».

IL SENEGAL, INFATTI, NON E’ IL SOLO PAESE del Sahel a risentire dei contraccolpi del conflitto in Ucraina. L’economia di tutta la regione sahariana, già sotto pressione per gli effetti nefasti del cambiamento climatico, dei conflitti e delle disastrose conseguenze della pandemia di Covid-19, potrebbe essere ulteriormente indebolita. A N’Djamena, capitale del Ciad, dal 19 marzo in molti panifici il prezzo della baguette è salito del 25-50% e i panettieri che non hanno ancora rivisto il costo del pane non ne escludono un aumento imminente.

ANCHE SECONDO IL PROGRAMMA Alimentare Mondiale (Wfp, marzo 2022), l’azione militare russa avrà serie implicazioni per la sicurezza alimentare di tutto il mondo, considerato il ruolo determinante di entrambi i paesi sui mercati alimentari globali e la preminenza della Russia nel commercio globale dell’energia. Sia l’Ucraina che la Russia giocano un ruolo critico nel mercato internazionale del grano, e sono tra i primi cinque esportatori a livello globale di questo prodotto. Insieme, i due paesi forniscono il 30% del grano del mercato mondiale. L’invasione russa ha bloccato le spedizioni dall’Ucraina e ha messo in pausa gli accordi russi sul grano, insieme all’incertezza legata alle sanzioni. Si stima, infatti, che 13,5 milioni di tonnellate di grano siano congelati nei due paesi.

QUESTE PREVISIONI NON LASCIANO presagire niente di buono, considerando anche il fatto che l’insicurezza alimentare si sta già espandendo in tutta la regione saheliana e l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari ha calcolato che quest’anno ben 38 milioni di persone si trovano sull’orlo della carestia e avranno bisogno di una considerevole assistenza umanitaria per soddisfare i loro bisogni alimentari.