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Il santo senza nome di Padova regala il secondo miracolo nelle urne

Il santo senza nome di Padova  regala il secondo miracolo nelle urneIl nuovo sindaco di Padova Sergio Giordani festeggia la vittoria con Arturo Lorenzoni nuovo vice sindaco

Veneto e Friuli Ma quella dell’ex «paròn» Giordani, il cui cuore batteva a destra, è solo una vittoria virtuale. Belluno, vince il sindaco dissidente a furor di popolo A Verona il tramonto definitivo di Flavio Tosi

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 27 giugno 2017

La matematica del Nazareno non può reggere la prova del nove a Nord Est. Matteo Renzi festeggia al telefono con il “nuovo” sindaco di Padova, ma la notte bianca intorno e dentro palazzo Moroni – “liberato” dal leghista Massimo Bitonci che ha retto solo tre anni – non può occultare il frutto di un’alchimia che in teoria dovrebbe funzionare fino al 2022.

Il santo senza nome di Padova ha regalato il secondo miracolo nelle urne. Tuttavia, i numeri sono incontrovertibili e lo scenario politico tutt’altro che entusiasmante. Sergio Giordani al ballottaggio si è imposto con 47.888 preferenze, cioè appena 3.400 in più dell’ex sindaco “padano”. E nel 2014 il centrosinistra “Doc” con Ivo Rossi aveva perso nonostante 44.943 voti. La differenza? Certamente, gli «arancioni» di Coalizione Civica che con due liste hanno collezionato il 22% al primo turno. Si traduce con Arturo Lorenzoni vice sindaco, mezza giunta prenotata e 8 consiglieri, due in più del Pd o il doppio della Civica del primo cittadino.

MA GIORDANI, il cui cuore batteva a destra, incarna un’anomalia singolare e insieme un azzardo spudorato. Paròn del Calcio Padova quand’era in serie A, con un’anima da commerciante, presidente di Interporto, si vanta di non essere un politico. Tuttavia il suo «civismo» è impastato con il Cencelli padovano. Con lui si sono schierati tutti gli ex sindaci rivali (dall’Udc Settimo Gottardo alla berlusconiana Giustina Destro, da Paolo Giaretta fino all’ex Ds Flavio Zanonato), ma anche i leader del centrodestra (dalla sottosegretaria alfaniana Barbara Degani all’ex senatore An Maurizio Saia) e soprattutto i salotti buoni. Già domenica notte è scattato il valzer delle poltrone nel Pd: Andrea Micalizzi che ritrova uno stipendio da assessore; Massimo Bettin che guiderà la segreteria del sindaco (senza una laurea, non può proprio diventare capo di gabinetto); l’ex deputato Andrea Colasio predestinato alla presidenza del consiglio.

ED È SOLO L’INIZIO. All’orizzonte si profila l’immediato pressing dei poteri tristi quanto inossidabili della città. Già sbandierato il progetto su misura del «nuovo ospedale nel vecchio sito» che fa felici i professionisti del cemento armato. Nessun fiato, invece, sulla gara del trasporto pubblico bandita in sintonia da commissario straordinario e presidente della Provincia proprio alla vigilia dei due turni elettorali.
La sinistra sociale di Lorenzoni dovrà misurarsi con gli interessi composti di logistica, grande distribuzione, immobiliarismo e fraternità accademica che hanno in Giordani il miglior rappresentante.

«L’IMPORTANTE ERA BATTERE Bitonci…» replica il coro esultante con bandiere diverse. La topografia dei 206 seggi restituisce Padova spaccata a metà e… sempre verde leghista, sia pur sbiadito. La santa alleanza di Giordani piegata all’apparentamento con Coalizione Civica vince nell’anello intorno al centro storico e nei quartieri ad alta intensità catto-ulivista. Il mix fra vecchie volpi della politica e nuovi soggetti del cambiamento potrebbe fare scintille proprio lungo la sottile linea d’ombra di periferie, cittadella universitaria e interstizi della marginalità. E la promessa massima trasparenza amministrativa può dar fuoco alle polveri fin dai primi mesi.

PADOVA, PER ORA, ritorna comunque «laboratorio politico». Ma a Verona niente replica. Anzi, inciucio abortito con Patrizia Bisinella. Non sarà facile nemmeno a Vicenza, dove sta per chiudersi l’epoca Variati con il crac della Banca Popolare, il restyling di Maltauro e l’acqua avvelenata.

Il Pd renziano annaspa. Nei tre capoluoghi è finita male. A Padova con una «vittoria virtuale». A Belluno con la conferma del giovane sindaco dissidente Jacopo Massaro a furor di popolo con il 63%. A Verona da semplice spettatore del successo del centrodestra compatto quanto del definitivo tramonto di Flavio Tosi. Nei piccoli municipi c’è poco da stare allegri. A Jesolo, la Rimini veneziana, il governissimo di Valerio Zoggia (lo zio di Davide, braccio destro di Bersani) vale il 55% contro il 44% del leghista Alberto Carli. Per di più in consiglio Fi avrà il doppio dei seggi democrats. Il Carroccio poi esulta a Cerea (Verona) con Marco Franzoli al 73%, mentre a Desenzano sul Garda il centrodestra riunito elegge Guido Malinverno con il 65%. A Mira nel Veneziano il nuovo sindaco Marco Dori (Pd) chiude la parentesi M5s ma con la candidata leghista che sfiora il 40%.

VA PERFINO PEGGIO IN FRIULI, perché a Gorizia trionfa Rodolfo Ziberna che aveva sfiorato l’elezione al primo turno denudando la debolezza politica di Roberto Collini. Un nuovo, inequivocabile, forse definitivo allarme rosso per Debora Serracchiani, che commenta: «Dopo Gorizia non ci sarà più nessuna prova d’appello: il centrosinistra deve misurarsi con il governo della Regione». Ma il municipio di Udine è già ridotto all’ultimo fortino assediato.

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