Tre ospedali storici (si va indietro fino al Cinquecento) del centro di Napoli, chiusi durante il commissariamento della sanità, diventeranno ospedali e case di comunità entro il 2026: Annunziata, San Gennaro e Incurabili. Potranno aprire i battenti perché il personale era già previsto dal piano regionale del 2019, per le altre strutture del Pnrr è ancora buoi pesto visto che il ministero non ha previsto la copertura per le assunzioni.

«CON 14MILA DIPENDENTI in meno e 220 milioni di euro derubati ogni anno alla Campania, dovremmo chiudere – è tornato ad attaccare il presidente della regione De Luca -. Se il riparto del fondo sanitario nazionale venisse fatto in maniera corretta, alla Campania dovrebbero dare 400 milioni in più l’anno. Ma fanno finta di non sentire perché questo squilibrio fa comodo a una parte del Paese». Il riferimento è al report dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, firmato dal direttore generale Domenico Mantoan, «Un rapporto efficiente ed efficace tra Stato e Regioni. Criteri per il riparto del fondo sanitario».

DAL 2020 il finanziamento del Servizio sanitario nazionale si attesta a oltre 120 miliardi. L’incremento del 5% tra il 2019 e il 2020 è stato indotto dal Covid. Due anni fa il fondo corrente è stato pari a 124,061 miliardi, fino al 2024 sono previsti 2 miliardi in più l’anno. Nel 2020 è passato dal 6,4% del Pil al 7,3%, nel 2021 è sceso al 6,9%, quest’anno è del 6,6% rispetto al Pil, nel 2023 scenderà al 6,4% tornando ai livelli del 2019 e nel 2024 calerà al 6,3%. Come avviene il riparto? Siamo partiti dal criterio della spesa storica, che favoriva le regioni con maggiore offerta e quindi quelle del Nord. Dal 1997 (con la legge 662/1996) i fondi si assegnano in base alla quota capitaria pesata su alcuni criteri: residenti; consumi sanitari per età e per sesso; tasso di mortalità; «indicatori relativi a situazioni territoriali utili a definire i bisogni sanitari»; indicatori epidemiologici. Nel 2011 è stato introdotto il criterio dei costi e fabbisogni standard.

RISPETTO ALLA QUOTA CAPITARIA, il peso da attribuire ai criteri viene deciso dal Cipe su proposta del ministro della Salute d’intesa con la Conferenza Stato – Regioni. Di fatto si tiene conto solo dell’anzianità della popolazione. La Campania ha fatto ricorso al Tar chiedendo l’applicazione della legge, dal ministero è stata inviata una bozza con i nuovi criteri: per il 99% si applica l’età anagrafica, poi 0,5% e 0,5% ad aspettativa di vita e deprivazione sociale. De Luca ha già annunciato il suo voto contrario visto che la Campania è la regione più giovane d’Italia. Nel 2019 il finanziamento pro capite medio è stato di 1.830,88 euro a italiano. Sotto la media ci sono 6 regioni: la Lombardia per 1,4 euro; il Lazio con 12,84 euro a residente, la Puglia (meno 16,69 euro), la Calabria (21,47) e la Sicilia (28,54). Il distacco di gran lunga maggiore è quello della Campania con meno 61,34 euro per ogni suo residente. Viceversa ogni ligure ha ricevuto 84,10 euro in più della media italiana, seguito da Piemonte (38,58 euro in più), Toscana (più 37,76 euro) e Umbria (più 35,79 euro).

AGENAS mostra come cambierebbe il riparto del fondo se si considerasse la stessa quota per ogni italiano. Alla Liguria verrebbe sottratto il 4,39% dei fondi (meno 130.938.002 euro), al Friuli Venezia Giulia meno 2,56% (58.527.051 euro), al Piemonte meno 2,06% (168,807.302 euro), alla Toscana meno 2,02% (141.117.616 euro), all’Emilia Romagna meno 1,06% (87.510.857 euro). Al contrario, la Campania vedrebbe aumentare lo stanziamento del 3,47% pari a 357.407.275 euro in più. Segue la Sicilia con più 1,58% (143.449.975 euro), la Calabria con più 1,19% (42.001.189), la Puglia con più 0,92% (67.545.708) e poi il Lazio con più 0,71% (75.711.853 euro). Lo scenario successivo tiene conto della legge del 1996 introducendo il criterio relativo alle condizioni dei territori. Agenas, quindi, mostra cosa accadrebbe se il fondo andasse per il 95% in base alla popolazione e per il 5% alla popolazione pesata sull’indice di deprivazione materiale.

A PERDERE FONDI sarebbe innanzitutto il Veneto con un meno 2,56% pari a meno 224.261.411 euro, quindi l’Umbria con meno 2,47% (39.741.491 euro), seguita da Piemonte e Liguria a meno 1,88% (rispettivamente meno 151.258.431 euro e meno 55.059.899 euro). E poi Toscana a meno 1,75% (120.242.005) ed Emilia Romagna a meno 1,5% (121.984.309) pari merito con le Marche (meno 41.963.934 euro). Infine, la Lombardia con meno 1,21% che però equivale a 218.980.729 euro. In Sicilia arriverebbero risorse aggiuntive per il 4,38% pari a 414.986.400 euro e alla Campania per il 3,96% (425.308.413 euro), quindi Puglia e Molise con più 1,92% (143.894.991 e 11.211.184 euro), Basilicata (6.151.336 euro) e Calabria (18.105.645 euro).

NON SI TRATTA di un esercizio accademico poiché su questo quadro si innesta la richiesta di autonomia differenziata di Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Piemonte e forse è anche più chiaro il perché la chiedano.