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Il referendum voluto dai militari spacca il Mali

Il referendum voluto dai militari spacca il MaliOperazioni di voto in un seggio di Bamako, Mali – Ap

Sahel inquieto Bassa affluenza e opposizioni in rivolta, a cominciare dai Tuareg e dai sostenitori dell'imam Dicko, per il voto sulla nuova costituzione «laica». Guerra agli islamisti, la giunta di Bamako chiede il ritiro della missione Minusma

Pubblicato più di un anno faEdizione del 22 giugno 2023

Domenica scorsa 8,4 milioni di maliani sono stati chiamati alle urne per decidere se approvare la nuova Costituzione sottoposta dalla giunta militare attraverso un referendum contestato da un’opposizione eterogenea perché «rafforzerebbe la posizione dei militari». La vittoria del sì sembra quasi certa – i risultati definitivi usciranno entro domani – ma con una percentuale di affluenza che va dal 27%, secondo gli osservatori indipendenti, fino al 38% secondo l’Autorità indipendente per la gestione delle elezioni (Aige).

Partecipazione contestata a causa sia dal boicottaggio delle opposizioni, come quelle che rappresentano i tuareg dell’Azawad nel nord a Kidal, ma anche dalla difficoltà nel garantire le elezioni in numerose regioni del paese per la persistente minaccia jihadista che ha compromesso il voto, come nella regione di Ménaka.

Il referendum ha rappresentato il primo voto organizzato dai militari da quando hanno preso con la forza, nell’agosto 2020, il potere. Per il governo la nuova Costituzione contribuisce «alla rifondazione democratica dello stato maliano», con la creazione di un Senato, della Corte dei conti, di enti locali decentrati e con l’ufficializzazione delle 13 lingue nazionali. Centrale diventerà il ruolo del capo dello stato che determinerà «la politica della nazione, l’azione e la scelta del primo ministro e avrà la possibilità di sciogliere l’Assemblea nazionale».

LA NUOVA COSTITUZIONE ribadisce anche «la natura laica» dello stato maliano e «la centralità delle forze armate», con un’amnistia per gli autori di colpi di stato prima della sua promulgazione e insistenti speculazioni su una possibile candidatura presidenziale dell’attuale presidente ad interim, il colonnello Assimi Goïta, nonostante gli impegni iniziali dei militari a non candidarsi alle elezioni del prossimo marzo 2024.

Le opposizioni denunciano il rischio di un paese ancora sotto «l’egemonia militare» oltre all’eccessivo potere attribuito al capo dello stato. Dure le polemiche dal campo politico islamista, tra cui il Coordinamento dei movimenti, associazioni e simpatizzanti dell’imam Mahmoud Dicko (Cmas) – principale esponente politico che portò alla caduta del presidente Ibrahim Boubakar Keita (Ibk) – che criticano «la scelta di una costituzione laica» o quello dei movimenti indipendentisti tuareg sul «mancato rispetto dell’Accordo di Algeri del 2015» e sul costante abbandono del nord da parte di Bamako», come indicato dal Coordinamento dei movimenti Azawad (Cma).

Divisioni e proteste che riguardano anche la richiesta dello scorso venerdì del ministro degli Esteri maliano, Abdoulaye Diop, davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, per il «ritiro immediato» della missione delle Nazioni Unite nel suo paese (Minusma), di cui ha denunciato il «il fallimento nel rispondere alla sfida della sicurezza e le accuse di spionaggio».

UNA DECISIONE CONSIDERATA come una risposta del governo maliano al recente report della Minusma che inchioda le Forze armate maliane (Fama), insieme ai mercenari russi di Wagner, per la strage di oltre 500 civili a Moura. Richiesta duramente contestata dalle popolazioni nel nord del Mali, con manifestazioni a Gao e Timbuktu, per il mantenimento della missione.

«Sarà un salto nel buio. Con la partenza della Minusma, che rappresentava una protezione per i civili, non ci saranno più limiti alle violenze sia dal fronte jihadista che da quello delle forze armate locali» ha indicato al riguardo su Radio France International (Rfi) Jean-Hervé Jézéquel dell’International Crisis Group (Icg).

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