Il rebus di Giorgetti tra tagli, imposte e sacrifici
Il caso Legge di bilancio: dilemmi catastali, enigmi fiscali, non toccare la casa. Ma Pubblica amministrazione e servizi sociali sono sacrificabili. C'è una coerenza in un governo in stato confusionale con Meloni che smentisce il suo ministro dell'economia: l'obbligo di rispettare il patto di Stabilità, senza però ammettere la responsabilità di averlo firmato. Via libera al Piano strutturale di bilancio: la Via Crucis prosegue martedì 15 ottobre con il Documento programmatico di bilancio (Dpb)
Il caso Legge di bilancio: dilemmi catastali, enigmi fiscali, non toccare la casa. Ma Pubblica amministrazione e servizi sociali sono sacrificabili. C'è una coerenza in un governo in stato confusionale con Meloni che smentisce il suo ministro dell'economia: l'obbligo di rispettare il patto di Stabilità, senza però ammettere la responsabilità di averlo firmato. Via libera al Piano strutturale di bilancio: la Via Crucis prosegue martedì 15 ottobre con il Documento programmatico di bilancio (Dpb)
Il punto non è se e quando aumenteranno le tasse sulle rendite catastali, sulle accise, o su qualche altra boutade del ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti c si fa smentire dal suo partito, la Lega, o da Meloni. Prima o poi faranno ciò che hanno scritto nel Piano strutturale di bilancio (Psb) approvato ieri da Camera e Senato: «Allineare» le accise del diesel sulla benzina e «adeguare la rendita catastale di chi ha usato il Superbonus 110%», per esempio. Ci saranno giochi di prestigio, diversivi, forse riscriveranno il testo, chiariranno. Risultato: una gran confusione. Ieri si facevano già le simulazioni su quante tasse in più si pagheranno sulla casa. Il governo escludeva ogni allarme. Può darsi, ma l’allarme è stato lanciato dal ministro dell’Economia. Più volte.
Il punto è che si faranno «sacrifici». «Serviranno anche nuove risorse, tra tagli di spesa e nuove entrate». Lo ha detto e confermato Giorgetti. Ancora non è chiaro chi farà sacrifici, come e quanti saranno. Ma, visto che le privatizzazioni saranno insufficienti, si andrà avanti con i tagli alla spesa. Cioè al Welfare, agli enti locali, pubblica amministrazione nel mirino, e così via. Tutto per mantenere gli impegni con Bruxelles: tagli da 12 miliardi all’anno per i prossimi 7 anni, una delle poche cose chiare del Psb con una previsione di crescita incerta e sopravvalutata.
I contorcimenti per nascondere gli effetti di queste decisioni sono comprensibili. Meloni & Co. sono obbligati a osservare il nuovo «patto di stabilità» europeo, ma sanno che non è elettoralmente conveniente. Il testo lo hanno firmato, ma cercano di occultare la loro responsabilità. Lo hanno fatto perché avevano una pistola puntata alla tempia? O forse lo hanno accettato perché lo condividono?
La seconda tesi è stata sostenuta ieri uno specialista della materia, il senatore a vita Mario Monti. È lui il metro-campione da usare quando si tratta di misurare la conformità alle leggi del capitalismo reale. Per Monti ciò che è più importante degli attuali singhiozzi del governo e della sua maggioranza è la trasformazione politica della coppia Meloni-Giorgetti.
Di Giorgetti, Monti ha ricordato il suo sostegno «all’approvazione della modifica costituzionale sulla disciplina di bilancio», in pratica una riscrittura che ha minato le premesse redistributive della Costituzione e ha ufficializzato la prevalenza del «vincolo esterno».
Della presidente del consiglio Meloni, Monti ha lodato le parole di «buonsenso, antitetiche a quelle che ella stessa usava dire – come molti esponenti delle opposizioni – nel corso degli anni precedenti». Nella visione paternalistica dell’economia di Monti il rinsavimento di Giorgia & Giancarlo sarebbe consistito nella «comprensione che i soldi dello Stato sono i nostri soldi e i debiti dello Stato sono i nostri debiti». Non è dato sapere di chi però sarà l’austerità. Di sicuro di chi ne subirà gli effetti. Meloni invocherà il bene della «Nazione». Monti lo fece a suo tempo.
In realtà, a sentire Giorgetti ieri in parlamento, si direbbe che la «conversione» di cui ha parlato Monti nel suo caso non sia avvenuta. Giorgetti è nato così com’è. Bastava sentire il modo in cui ha parlato della famigerata teoria dell’«avanzo primario»: «Non è un obiettivo economico – ha detto – è un obiettivo prima di tutto morale, cioè di non creare per nostra responsabilità nuovo debito rispetto al debito che abbiamo ereditato. Che si possa chiudere il 2024 con un avanzo primario positivo è qualcosa che a me soddisfa moralmente, prima ancora che politicamente ed economicamente».
Si usa l’argomento paternalistico dei «figli» – quelli resi precari e senza speranza al punto da fuggire all’estero – per giustificare i tagli che renderanno un altro inferno la vita dei tanti che restano. Storicamente, la teoria dell’avanzo primario si è dimostrata un fallimento. Nei 15 anni precedenti la pandemia l’Italia è sempre stata in avanzo primario, ma il debito non è mai diminuito, la produttività è crollata, i salari reali si sono inabissati. Oggi ci risiamo: meno spesa pubblica, meno crescita, più debito pubblico. Ma Giorgetti è «soddisfatto moralmente».
Entro martedì 15 il governo presenterà il Documento programmatico di bilancio (Dpb), un’altra tappa della via crucis. Forse qualche decisione inizierà ad essere inserita nel bussolotto della legge di bilancio.
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