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Il rapporto shock sulla Germania razzista

Il rapporto shock sulla Germania razzistaUn migrante in un ufficio di polizia di Francoforte – Ap

L’analisi del Centro di ricerca su Integrazione e Migrazione Nelle istituzioni, al lavoro, nelle scuole o nei vagoni della metro, la relazione voluta dal governo rivela il virus che appesta la società. Per il 90% dei tedeschi «il razzismo è parte della vita quotidiana», il 65% è convinto che «lo Stato pratica la discriminazione razziale» e circa la metà afferma di «vivere in una società razzista»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 7 maggio 2022

È il primo rapporto del «Monitor» voluto dal governo. Ed è incredibile, di più, «scioccante» come lo ha definito Lisa Paus, ministra della Famiglia dei Verdi. Per la prima volta in Germania si conferma ufficialmente la «Realtà razzista» che impesta la società. Nelle istituzioni, nei luoghi di lavoro, nelle scuole o nei vagoni della metro: nel 2022 nella Bundesrepublik basta sempre «il cognome straniero o anche solo un foulard» per essere trattati da cittadini di serie B.

E NON C’È TITOLO che tenga l’assimilazione promessa dallo Stato: «Neppure il più alto livello di istruzione formale protegge dalla discriminazione» si legge nell’inedita analisi del Centro di ricerca su Integrazione e Migrazione (Dezim) presentata a Berlino dalla presidente Naika Foroutan. Relazione sociologicamente e politicamente devastante piena di numeri stridenti con l’immagine della Socialdemocrazia: per il 90% dei tedeschi «il razzismo è parte della vita quotidiana», il 65% è convinto che «lo Stato pratica la discriminazione razziale» e circa la metà afferma di «vivere in una società razzista».

Non è solo percezione. Alla domanda: «Sei mai stato vittima di razzismo in Germania?» il 22% dei 5.000 intervistati dai ricercatori del Dezim ha risposto di sì. Ma «se l’esclusione colpisce Sinti e Rom è meno probabile che venga descritta come razzista rispetto a ebrei e neri», racconta il rapporto.

PER LA MINISTRA della Famiglia, presente alla presentazione del rapporto, la fotografia della Germania scattata dal Dezim è «scioccante». Soprattutto è un allarme che il governo Scholz non può continuare a ignorare. La nuova legge contro il razzismo (che si chiamerà «per la promozione della Democrazia») è ancora alla fase di elaborazione al Bundestag mentre la copertura finanziaria è appesa alla Commissione bilancio, dove i deputati sono concentrati in via prioritaria a contabilizzare il riarmo della Bundeswehr e il conto dell’invio delle armi a Kiev.

MA LA RELAZIONE del Dezim non è un rapporto qualunque bensì il primo dei sondaggi biennali previsti nel National Discrimination and Racism Monitor, l’osservatorio istituzionale che deve suggerire le azioni concrete a Parlamento e governo. Compreso sussumere l’unica buona notizia della ricerca: il 70% degli intervistati è pronto ad agire in prima persona contro il razzismo «in particolare i giovani tedeschi non accettano la discriminazione come elemento strutturale. Al contrario degli anziani, convinti della divisione della società in razze umane distinte in più o meno laboriose» specifica la presidente Foroutan.

Secondo lei «il razzismo non dipende da educazione o origine delle vittime che possono essere anche perpetratori. Si tratta di una questione di gerarchia parallela a quella della ricerca sul genere, razzismo e sessismo si giocano sullo stesso livello». La presidente del Dezim lancia anche un altro avvertimento al governo Scholz: riconoscere il razzismo come parte della vita quotidiana non equivale alla condanna automatica da parte della pubblica opinione. Il rapporto segnala il terzo dei tedeschi convinti che le vittime di razzismo siano «ipersensibili» e il 45% ostile alle norme anti-discriminazione in quanto limitanti la libertà di espressione.

«LA GERMANIA RICONOSCE di avere un problema con il razzismo» ammette sulla Deutsche Welle il commissario del governo Reem Alabali-Radovan (Spd) per cui il Racism Monitor è il primo passo per il cambiamento. Eppure, sembra passato un secolo, invece sono passati solo due anni da quando l’ex ministro dell’Interno, Horst Seehofer (Csu), bloccava l’indagine sul razzismo strutturale nelle forze dell’ordine. Della versione debitamente circoscritta a tempi e circostanze non troppo imbarazzanti sono attesi i primi risultati nel 2023. Si aspettano ancora, inoltre, i risultati delle indagini sull’inquietante profiling razziale della polizia denunciato da centinaia di immigrati vittime dell’umiliazione del controllo-documenti più perquisizione, secondo la regola del search and stop.

La pratica razzista è bandita in Germania da dieci anni dopo la sentenza di un tribunale della Renania-Palatinato, ma a Berlino è stato necessario varare un’apposita legge contro la discriminazione delle forze dell’ordine (la prima in Germania) dopo la moltiplicazione dei casi non più limitati a zone calde come Görlitzer Park o Kottbusser Tor.

MA NELLA CAPITALE a tenere alta l’attenzione ci pensano soprattutto iniziative dal basso che non intendono aspettare il risultato definitivo delle indagini sulla Bundespolizei. Spicca Afrozensus, il network che spazia dai giornalisti agli Afro-Shop di tutta la Germania. Ha attivato il censimento della diaspora africana legandolo proprio alla discriminazione.

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