Lavoro

Il Primo Maggio è il giorno dell’orgoglio dei riders

Il Primo Maggio è il giorno dell’orgoglio dei ridersLa protesta dei ciclofrattorini a Milano – LaPresse

Lavoro digitale A Milano, a Bologna e in altre città manifestano i ciclofattorini delle piattaforme digitali. Per uno status da lavoratori, salario minimo, indennità, privacy e assicurazione. "Scenderemo in piazza per tutti coloro che non hanno voce, non possono scioperare o saranno costretti a lavorare, sottoposti a una forma di ricatto"

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 1 maggio 2018

«Molti fattorini parevano sollevati: ‘non abbiamo più padroni sopra di noi!’. La realtà, però, è che il nostro padrone ce l’abbiamo in tasca, ci controlla ogni istante, ci premia e ci punisce: è l’algoritmo delle app» racconta Jerome Pimot, portavoce nazionale del Collectif des livreurs autonomes de Paris (Clap) ed ex fattorino Deliveroo.

«SGARRARE sui tempi di consegna equivale a lavorare meno – afferma preoccupato Enrico – così si corre al massimo, a rischio proprio e degli altri». E poi la retribuzione che, già bassa, può essere tagliata da un giorno all’altro. La mancanza di un luogo fisico per incontrarsi e parlare di persona. Sono queste alcune delle esperienze comuni dei ciclo-fattorini che lavorano per le piattaforme digitali del food delivery. In tutta Europa, e anche in Italia, li chiamano «riders». Anche se «il termine ci fa un po’ cagare, è una semplice infighettazione» sostiene Angelo di Deliverance Milano, il sindacato sociale che, insieme alla Riders Union di Bologna, sta emergendo in questo campo del lavoro digitale.

I CICLOFATTORINI si sono radunati nel centro sociale Làbas a Bologna il 15 aprile scorso e oggi, primo maggio, scenderanno in piazza con le loro biciclette per il primo «Riders Pride». «Scenderemo in piazza per tutte e tutti coloro che non hanno voce, che non possono scioperare o che saranno costretti a lavorare, perché sono sottoposti a una qualche forma di ricatto» dicono.

È LA PRIMA AZIONE comune dopo la sentenza di Torino che l’11 aprile scorso ha negato, al momento, ai ciclofattorini di Foodora lo status di lavoratori. Ma la situazione è mossa e i lavoratori italiani non sono soli. «Nel 2016 ci sono stati tre scioperi, 40 l’anno successivo in sette paesi e 22 città – racconta Jerome da Parigi – In questi anni sono nati ovunque collettivi di lavoratori. Vogliono smascherare la narrazione delle piattaforme.

FRANCIA E BELGIO, Inghilterra e Germania. E poi in Italia a Milano, Torino, Bologna o Roma dove per strada si vendono ciclisti e fattorini in moto con i cubi di Foodora, Glovo, Justeat, Uber Eats, Gnammo. Durante l’assemblea di Bologna è emersa la necessità di mettersi insieme per reclamare condizioni di lavoro uguali per tutti, nel salario come nelle tutele. «Le piccole battaglie sono inutili, serve un rapporto di forza» sostiene Jerome che spiega come a Parigi abbiano organizzato picchetti per non far uscire gli ordini dai ristoranti ma sempre evitando di «dare l’immagine dei cattivi e la demonizzazione».

«A BRUXELLES abbiamo iniziato a inserire nostri volantini nelle buste consegnate ai clienti – aggiunge Daniele, da nove anni residente in Belgio ed esponente del Collectif des coursier-e-s di Bruxelles – Occorre spiegare a clienti e ristoratori come le piattaforme ci derubino due volte: sfruttando il lavoro di chi consegna e lucrando sui dati che possono raccogliere».

«BASTA CHIAMARLI “lavoretti”, sono lavori, nonostante una parte non sia retribuita» si infervora Angelo. «Io non voglio fare volontariato per dei milionari!» esclama Daniele che racconta la realtà del lavoro a cottimo: per sopravvivere servono almeno 8/9 consegne al giorno, di solito la sera e nei giorni di pioggia, rimanendo per lunghi periodi di tempo (non retribuiti) «in attesa» di consegne. Sono ancora in pochi a conoscere il lavoro dei fattorini. «Spesso capita che le persone per strada mi chiedano per quale pizzeria lavori» aggiunge un fattorino Glovo a Bologna. Giorgio, 28 anni, lavora part-time e fa consegne a Bologna: «Abbiamo dato vita alla Riders Union lo scorso autunno, dopo un’assemblea a Torino – racconta – Oggi siamo un’ottantina, da varie piattaforme, sui trecento totali in città. L’obiettivo ora è fare rete con le altre realtà italiane».

I RIDERS BOLOGNESI hanno già fatto scattare negli scorsi mesi due scioperi, l’ultimo a febbraio, quando la neve aveva reso le strade pericolose. «Per rispettare i tempi, siamo costretti a compiere manovre imprudenti – racconta Tommaso, esponente dei fattorini bolognesi – Un nostro collega è finito due giorni in ospedale. L’azienda gli ha pagato due serate, lasciandolo senza nulla durante il mese di convalescenza. Ecco perché chiediamo un’assicurazione e un contratto da dipendenti, in modo che entri in gioco l’Inail». Ma c’è anche l’aspetto economico: «La paga oscilla fra i 5 e i 7 euro l’ora, ma le multinazionali vanno verso il cottimo, con compensi da 5 l’ora più 1,20 euro a ogni consegna. L’algoritmo calcola i tempi, se non li rispetti scendi nel punteggio e lavori meno, fino a essere estromesso».

LA RIDERS UNION Bologna,insieme all’amministrazione comunale e ai sindacati «tradizionali» di Bologna, ha presentato una Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano. La partita difficile si apre ora. Anche le amministrazioni locali possono giocare un ruolo importante, ragiona Federico Martelloni, docente di diritto del lavoro e consigliere di Coalizione Civica a Bologna. Le aziende potrebbero essere spinte ad accettare i principi della Carta «sfruttando le competenze dell’amministrazione in tema di pubblica sicurezza e mobilità».

«QUESTA FORMA di contrattazione metropolitana – spiega Tommaso- prevede una serie di garanzie su manutenzione dei mezzi, copertura assicurativa per i danni in caso di incidente, indennità integrative per condizioni meteo avverse, tutela della privacy, paga oraria minima». Va verificato quante aziende sottoscriveranno la carta, e se dunque questa è una strada possibile per la contrattazione. Non mancano le perplessità in queste discussioni. Per alcuni rider è necessario che siano i lavoratori ad elaborare una carta dei diritti e poi definire un rapporto con le istituzioni.

SE IL CAPITALISMO torna al XIX secolo, lo fanno anche le modalità organizzative dei lavoratori. «Il mutualismo è alla base del nostro sindacato sociale – spiega Angelo – a Milano ci sono ciclo-officine, punti d’aggregazione e sportelli informativi per la consulenza legale e tributaria, oltre a un corso di formazione sindacale». «Dopo 30/40 chilometri le bici vanno riparate. A Bologna abbiamo organizzato un servizio di bici sostitutive e dei corsi base di riparazioni» aggiunge Giorgio. Tutta ciò è stato fatto grazie a una stretta collaborazione fra riders, attivisti dei centri sociali, sindacati e associazioni della società civile.

SI TORNA A PARLARE di cooperazione, proprio come il movimento operaio delle origini. «Ci illudiamo di essere indipendenti, ma i nostri strumenti di lavoro sono le app, che non ci appartengono. Per riappropriarcene, in Francia da un ano ne abbiamo creata una, Coopcycle, un bene comune digitale che appartiene a coloro che vi contribuiscono (sviluppatori) o la utilizzano (cooperative di corrieri, ristoratori)» racconta Jerome. Un’esperienza che i colleghi italiani guardano con interesse, anche se qualcuno ammette: «Ci accontenteremmo di molto meno».

SPERIMENTAZIONI tecnologiche e del diritto e nuove forme di aggregazione e di lotta che riportano d’attualità antiche forme organizzative. Per Daniele «occorre lottare duramente contro questa vecchia-nuova versione del capitalismo che altro non è che una forma di fascismo, sì, fascismo! Oggi noi, e anche voi giornalisti freelance, domani magari i medici e poi tutti gli altri».

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