Il primo «cartellino rosso» è per Israele. E l’Iran sogna il riscatto a suon di gol
Medio Oriente nel pallone L'annullamento dell'amichevole Israele-Argentina a Gerusalemme, gli stadi di Erdogan, la Nike e le sanzioni Usa a Teheran
Medio Oriente nel pallone L'annullamento dell'amichevole Israele-Argentina a Gerusalemme, gli stadi di Erdogan, la Nike e le sanzioni Usa a Teheran
I mondiali di calcio saranno un campo di battaglia per le squadre mediorientali perché il pallone riesce a smuovere emozioni forti, non meno di religioni e nazionalismi. Di fatto, il calcio (e gli sport in generale) ha contribuito a creare le nazioni moderne. E sono parecchi i capi di Stato che corteggiano i tifosi per attirarsi il loro voto, basti pensare a Erdogan che, per corteggiare i giovani e altri segmenti della società turca, nel 2013 aveva dato avvio a una serie di progetti per la costruzione di numerosi stadi per un valore di 1,55 miliardi di dollari. Nonostante le restrizioni di bilancio, ne sono stati completati diversi, tra cui quello del Galatasaray SK a Istanbul ma anche in località periferiche. Meno lungimirante l’egiziano Hosni Mubarak, deposto durante la primavera araba anche perché privo del sostegno dei tifosi di calcio, scesi in piazza contro di lui.
NEL MONDIALE CHE INIZIA, il primo gol è già stato segnato: la campagna «Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (Bds) contro Israele è riuscita a mandare a monte l’amichevole con l’Argentina. Se il pretesto sono state le minacce a Lionel Messi e consorte, il motivo è lo spostamento della partita dallo stadio di Haifa – che con i suoi oltre 30mila posti andava benissimo – a Gerusalemme per celebrare i settant’anni della creazione dello Stato ebraico. Le autorità israeliane avrebbero così strumentalizzato il calcio a fini politici, laddove uno dei principi della Fifa è la separazione di calcio e politica.
Se è andata a monte un’amichevole di calcio, è segno che non sarà facile convincere il pianeta a riconoscere Gerusalemme capitale, come ha fatto il presidente statunitense Donald Trump e come stanno discutendo diversi paesi europei. A ben vedere, lo spostamento della capitale a Gerusalemme ha dato qualche arma in più agli attivisti della «Red Card Israel Campaign» che da tempo chiedono l’espulsione dello Stato ebraico dalla Fifa, come accadde con il Sudafrica sotto il regime dell’apartheid.
PER I PAESI A MAGGIORANZA musulmana, il fischio di inizio dei mondiali di calcio coincide con la fine del Ramadan, il mese della Rivelazione del Corano da parte dell’arcangelo Gabriele al profeta Maometto: rappresenta uno dei cinque pilastri dell’Islam, i musulmani digiunano e non possono assumere liquidi (nemmeno acqua) dall’alba al tramonto. Ne sono esonerati i malati e i viaggiatori. Per aggirare il Ramadan in vista dei mondiali, qualche squadra si è allenata in trasferta: i giocatori potranno recuperare in seguito i giorni di digiuno, oppure pagheranno una zakat (elemosina) supplementare.
Nel caso della nazionale iraniana, i calciatori sono finiti sotto i riflettori ancor prima di scendere in campo, quando l’americana Nike ha deciso di non fornire le scarpe a causa delle sanzioni a stelle e strisce, con il risultato che in molti chiedono alla Fifa che la politica non venga coinvolta negli eventi sportivi e non ci siano due pesi e due misure.
ORMAI È ACQUA PASSATA, ora l’attenzione è tutta sull’incontro di domani contro il Marocco: una partita che gli iraniani possono vincere, il difficile verrà dopo, contro Portogallo e Spagna. Per passare il turno, la nazionale iraniana dovrà vincere contro uno di questi pesi massimi europei, poi si vedrà. C’è chi prospetta una sfida con l’Arabia saudita nel turno successivo, ma è improbabile: i sauditi sono in fondo alla classifica, è il loro primo mondiale dal 2006, da settembre hanno cambiato due allenatori, le aspettative sono basse.
Perdonate il campanilismo, ma quella iraniana è di certo la squadra migliore della regione. Dopo l’esperienza nel Real Madrid, l’allenatore Carlo Queiroz è a Teheran dal 2011 e ha imparato a conoscere gli iraniani.
RISPETTO A QUATTRO ANNI FA, i suoi ragazzi hanno maturato maggiore esperienza internazionale: nell’ultima stagione, con 21 gol e 12 assist il centrocampista Alireza Jahanbakhsh (24 anni) si è laureato capocannoniere in Olanda; corteggiato dal Liverpool, l’altro attaccante Sardar Azmoun (23 anni) ha giocato nella russa Rubin Kazan e potrebbe passare alla Lazio; nel campionato greco, Karim Ansarifard è al secondo posto per numero di gol; e poi c’è Mehdi Taremi, l’attaccante dell’Al Gharafa di Doha, Qatar.
A loro, la responsabilità di ridare il sorriso agli iraniani, dopo che Trump ha mandato a monte l’accordo nucleare e le prospettive di ripresa economica.
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