Sono passati 31 giorni dalla partita inaugurale della Coppa del Mondo 2018 e Mosca è tornata alla normalità. Quella sfilata continua di facce, colori e bandiere diverse nei dintorni della Piazza Rossa è praticamente finita, e rimangono solamente gli ultimi, i più fortunati: i possessori del biglietto per la finale di questo pomeriggio al Luzhniki. Nei suoi giorni conclusivi, il mondiale si confina nei suoi centri istituzionali: dalla pancia dell’ex stadio Lenin venerdì il presidente Fifa Infantino ha annunciato ciò che già si sapeva, e cioè che il prossimo mondiale in Qatar si disputerà a fine autunno, ma non rivela quante squadre ne prenderanno parte, se 32 o 48.

Ieri, dal Press center a due passi dal Bolshoi, il direttore del comitato organizzatore Sorokin ha snocciolato i numeri di un Mondiale di successo: 1 milione di tifosi da tutto il mondo e un’affluenza negli stadi al 98%. Infantino e Sorokin sono d’accordo nel definire questo Mondiale agli sgoccioli «il più bello di sempre» e ringraziano Putin per il suo «appoggio incondizionato».

Che Mondiale è stato? Sulla scia degli scorsi, questo torneo ha confermato la sensazione dell’esistenza di un solco sempre più profondo tra il calcio delle nazionali e quello dei club, in favore di quest’ultimo (in Russia è stato superato il record di goal su palle inattive, che ammontano al 50% del totale); senza che questo si traducesse tuttavia nell’exploit del singolo: a procedere sono state le squadre più organizzate e determinate e il capocannoniere del mondiale (a meno di improbabili triplette di Perisic o Griezmann questa sera) sarà Kane, con 6 goal – di cui tre su rigore; i temuti incidenti tra ultras, come gli episodi di razzismo, non si sono infine verificati. Il mondiale è filato liscio esattamente come quello brasiliano di quattro anni fa, che doveva essere terreno di proteste di massa e non lo fu.

Gli stadi – al loro interno praticamente tutti identici da regolamento Fifa, e come in Brasile coacervo di scandali e corruzione – sono stati riempiti per intero, come in Brasile e più che in Sudafrica, da masse di tifosi-turisti da tutto il mondo: tranne gli argentini, i balcanici e qualche inglese giunto all’ultimo momento per veder perdere la propria nazionale, erano tifosi del genere facce pittate e costumi stereotipati, di scarso supporto alle squadre in campo; si è battuto il record di lavoratori volontari per la Fifa, quasi 7000, impiegati da mattina a sera in una vasta serie di compiti, dai più semplici – battere il cinque ai tifosi con la manona di gommapiuma – ai più complessi – agire da supporto al migliaio di giornalisti accreditati. Campioni di solerzia, hanno fatto da guardiani – gratis – dei diritti commerciali della Fifa: indimenticabili i rimproveri ai giornalisti che provavano ad inquadrare il campo con il cellulare.

Oltre il cinismo: lo scambio di abbracci e strette di mano, il contagioso coro «Ros-si-ya, Ros-si-ya» sulla bocca di donne e uomini di tutti i colori e tutti i Paesi, da queste parti non saranno mai dimenticati; soprattutto non sarà dimenticata la Russia di questi trenta giorni, con i suoi poliziotti gentili, la segnaletica bilingue e la possibilità di bere alcolici per strada.
Ma è stato anche il mondiale delle sorprese: a parte Italia e Olanda, non qualificate, non hanno superato il taglio dei quarti di finale Germania, Argentina e Brasile. Frutto, tra l’altro, di un tabellone squilibrato che da un lato ha espresso la Francia, con le sue cinque finali in vent’anni tra mondiali e europei, e dall’altro la Croazia, che questa sera (ore 17.00 in Italia) diverrà la tredicesima nazione finalista in un mondiale.

È certo uno scontro tra David e Golia, non solo per le grandezze – con 4,5 milioni di abitanti la Croazia è il paese più piccolo ad essere giunto in una finale mondiale dopo l’Uruguay – né soltanto per il maggiore valore tecnico della rosa francese: la Croazia arriva con un giorno in meno di riposo e tre turni su tre superati tra supplementari e rigori. Il Ct Dalic punta sull’onestà intellettuale dei suoi, che gli diranno se «sentono di essere troppo stanchi»; d’altra parte Rakitic ci fa sapere che una finale «la giocherebbe anche senza una gamba». Insieme a Luka Modric guiderà un reparto, il centrocampo, che non è secondo a nessuno.

La Francia di Deschamps (che potrebbe diventare il terzo ad aver vinto il torneo da giocatore e da allenatore, dopo Zagallo e Beckenbauer) dovrà dimostrare di aver imparato la lezione della finale europea del 2016, quando fu sconfitta da favorita contro il Portogallo. Per portare al trionfo una generazione di talenti fenomenali che si sapeva già forte quattro anni fa, quando non immaginava di poter avere in Russia, già pronto, il bimbo prodigio Mbappé.
Infine: qualcuno stasera vorrà vedere lo scontro tra il «melting pot francese» e la «nazionale completamente autoctona» (Bargiggia, Mediaset). Anche se le cose sono un po’ più complesse di così: quattro croati sono cresciuti fuori dal paese, contro soli due francesi. Mentre il portiere-eroe della Croazia, Subasic… è serbo (anche se rinnegato).