I numeri li ha dati ieri Euro-Med Human Rights Monitor: da sabato scorso l’esercito israeliano ha ucciso un palestinese ogni dieci minuti. Degli oltre 2.300 uccisi, 724 sono bambini, un terzo. Gaza ha una popolazione giovanissima, oltre il 40% ha meno di 14 anni. Significa che la metà dei suoi abitanti è nata dopo la prima grande offensiva israeliana sulla Striscia, Piombo Fuso, nel 2008-2009. Da allora ne hanno vissute almeno cinque.
Ne abbiamo parlato con Jonathan Crickx, portavoce di Unicef in Palestina.

Da sabato un numero impressionante di bambini ha perso la vita, nell’attacco di Hamas e nell’operazione su Gaza.
È l’aspetto più orribile: centinaia e centinaia di bambini sono stati uccisi e feriti da sabato scorso, sia in Palestina che in Israele. In Israele non abbiamo un bilancio definito dei minori tra le 1.300 vittime del 7 ottobre, sappiamo però che sono tantissimi. Sul lato palestinese l’ultimo bilancio è di 724 bambini uccisi e oltre 2.400 feriti. Sono senza parole: è un numero enorme in così poco tempo.

I minori sono anche una parte consistente degli sfollati. Dove si rifugiano? Non pare ci siano posti sicuri: ieri è stata bombardata una scuola a Jabaliya.
Sul terreno la situazione a Gaza è catastrofica. Bombardamenti costanti, sfollamento di massa di bambini e delle loro famiglie, oltre 420mila persone. E questo prima della richiesta alla popolazione di allontanarsi. Immaginate la situazione: le infrastrutture sono danneggiate, c’è pochissima acqua, pochissimo cibo, quasi più medicine. Non ci sono rifugi sicuri nella Striscia. Siamo estremamente preoccupati. A ciò si aggiungono i bombardamenti su scuole e ospedali. Chiediamo una pausa umanitaria e corridoi umanitari per portare aiuti alla gente di Gaza.

La carenza di acqua e cibo potrebbe provocare morti «indirette», per disidratazione, fame e malattie?
Questo è un punto importante. L’acqua è così scarsa che si rischia la disidratazione e la diffusione di malattie. Quella che c’è non è sicura. Siamo preoccupati soprattutto per i neonati, non c’è più latte in polvere.

Il vostro staff a Gaza è ancora al lavoro.
Abbiamo staff locale e sono impressionato da quanto riesce a fare. I colleghi fanno sì che l’impianto di desalinizzazione dell’Unicef funzioni e consegni acqua potabile a 75mila persone. E poi lavorano alla consegna di medicine ed equipaggiamento medico agli ospedali. Potrebbe sembrare superfluo, ma consegniamo anche kit ricreativi ai bambini nei rifugi, libri, giocattoli per aiutarli ad affrontare la situazione. L’Unicef ha avviato il piano per la gestione delle crisi, sia a livello locale che nei quartier generali: la nostra politica è restare e consegnare, non ci sono piani di evacuazione del personale.

Avete contatti con loro?
Abbiamo contatti regolari con i dipendenti di Gaza tramite sms perché la connessione internet è debolissima. Anche le telefonate sono difficili.

Parlava della necessità di assistere i minori anche psicologicamente in un contesto segnato da una violenza ciclica.
Due terzi dei bambini di Gaza ha già mostrato sintomi di Ptsd (stress post-traumatico) in passato: difficoltà a concentrarsi, ansia, depressione…Unicef fornisce da anni supporto psicosociale e medico. In questa ultima escalation il trauma colpisce anche i bambini israeliani esposti ai missili e all’attacco del 7 ottobre. Chiediamo la fine immediata delle ostilità: i bambini subiscono più di tutti l’impatto della guerra. E stavolta è peggio delle altre.