Il governo turco, a differenza di ciò che dichiara, continua a sostenere Israele direttamente e indirettamente. Oggi, nel mirino delle proteste c’è l’azienda petrolifera azera Socar, che fornisce il 40% del fabbisogno energetico di Tel Aviv e lo fa attraverso la Turchia.
Se seguiamo il percorso del petrolio che finisce nei serbatoi degli aerei che sganciano ogni giorno bombe su Gaza, ci imbattiamo nella Socar (Compagnia petrolifera statale della Repubblica dell’Azerbaigian). Il petrolio fornito dall’azienda azera arriva nella località di Ceyhan, in Turchia, attraverso l’oleodotto che parte dalla capitale Baku e da lì viene trasportato in Israele tramite petroliere. Tel Aviv, oltre a ottenere il petrolio non raffinato attraverso questo percorso, riceve ogni giorno più di diecimila barili di petrolio raffinato tramite le navi appartenenti alla Star Rafineri, un ramo della Socar presente nella località di Aliaga, in Turchia.

INOLTRE, vediamo tra gli azionisti della Star Rafineri, come dichiarato sul suo sito, la Petkim (ex statale), di cui Socar acquistò la maggioranza delle azioni nel 2008. E nel 2013 Socar ha comprato il colosso mediatico turco Star da Fettah Tamince, un caro amico di Erdogan.
Socar non si muove in piena libertà in Turchia soltanto per fare affari con Israele, ma gode anche di un notevole scudo politico fornito da Ankara. Qualche giorno fa, il gruppo giovanile Filistin için bin genç (Mille giovani per la Palestina) ha organizzato una protesta davanti all’edificio di Socar a Istanbul: «Siamo venuti per chiedere conto, a nome del popolo palestinese, alla Socar, che ha fornito il petrolio per gli aerei che hanno bombardato Rafah». Dopo aver letto un breve comunicato stampa, le persone che protestavano hanno gettato vernice rossa sull’edificio e gridato slogan come «Il petrolio della Socar nutre l’invasore». Il giorno dopo, 13 persone che avevano partecipato alla protesta sono state prelevate dalle loro abitazioni e messe in detenzione provvisoria con l’accusa di «danni materiali e violazione dell’immunità sul lavoro». Dopo un giorno di detenzione, i 13 sono stati messi in libertà vigilata.
Socar gode anche di una protezione mediatica in Turchia. Il canale televisivo nazionale Haber Global, attivo dal 2018, appartiene al gruppo mediatico azero Global Media. Infatti, a proposito delle proteste contro Socar, su Haber Global si sono sentite dichiarazioni come «Un’azione che ha l’intento di colpire Socar con la scusa della Palestina. Si tratta di una calunnia. Sconfiggeremo anche queste persone come abbiamo sconfitto le bande armene legate all’Iran e connesse alle organizzazioni terroristiche».

SECONDO il giornalista turco Orhan Gokdemir, se scoperchiamo Socar e Haber Global, in vediamo un Azerbaigian che non ha mai smesso di fare affari con Israele. «Il proprietario di Global Media è il giovane imprenditore azero Elnur Abdullayev, parente dell’ex Presidente di Socar, Rovneq Abdullayev. La famiglia è diventata ricca grazie agli affari di Socar. In questa crescita, ovviamente, il rapporto commerciale con Israele ha un ruolo importante. In realtà, il rapporto tra Baku e Tel Aviv non si limita al petrolio. Israele è il più importante fornitore di armi dell’Azerbaigian. Gli ufficiali azeri vengono addestrati in Israele. L’esercito azero è dotato di droni ed efficaci missili a lungo raggio forniti da Israele. In Azerbaigian sono attivi operatori di telefonia mobile israeliani. Tel Aviv ha ingenti investimenti nei settori chimico, farmaceutico, agricolo e dei media in Azerbaigian».

SOCAR, attraverso un comunicato stampa, ha rigettato tutte le accuse, specificando che non è possibile controllare a quali paesi il petrolio viene fornito e per quale scopo viene usato. Anche prendendo per vera la dichiarazione, l’azienda dovrebbe sapere che il suo petrolio finisce al porto di Aliaga in Turchia, da cui partono le navi piene del suo petrolio raffinato per Israele.
La storia di Socar, la sua presenza in Turchia e Israele, e la risposta violenta del governo turco contro le persone solidali con la Palestina mettono ovviamente in discussione la retorica della «fraternità turca» tra Ankara e Baku, spesso rappresentata con lo slogan «Due stati, una nazione». Forse è meglio usare «Due stati, un regime», dove il petrolio, i droni, l’edilizia e le relazioni profonde uniscono Ankara e Baku sotto l’ombrello di Tel Aviv.