Uno dei passaggi cruciali di Planned Parenthood v. Casey, la sentenza del 1992 con cui la Corte suprema aveva respinto un assalto antiabortista a Roe v. Wade, dichiarava che «la capacità delle donne di partecipare equamente alla vita sociale e economica della nazione è stata facilitata dal controllo sulle loro vite riproduttive».
I sostenitori della legge del Mississippi con cui l’assalto antiabortista è infine riuscito sostenevano invece che nei quasi 50 anni trascorsi da Roe, la società era mutata in modo tale da far sì che la prospettiva di vita di una donna non sarebbe stata intaccata dal portare a termine una gravidanza indesiderata.

ALLE LORO RISIBILI TEORIE si opponeva un memorandum firmato da 153 economisti che dettagliano come l’accesso all’aborto «continui ad avere un importante impatto sulle vite delle donne», in particolare di quelle povere, di colore e le adolescenti, categorie che hanno un accesso più ristretto alla contraccezione e all’assistenza sanitaria in generale. Il memorandum riporta ad esempio come la legalizzazione dell’aborto abbia «ridotto la maternità fra le adolescenti del 34%, e il matrimonio in età adolescenziale del 20%». O che la mortalità dovuta alla maternità fra le donne nere era diminuita fra il 28 e il 40%. E ancora che fra le giovani donne che hanno fatto esperienza di una gravidanza indesiderata, «l’accesso all’aborto ha aumentato la probabilità che finissero il college di quasi il 20%, e quella di ottenere un impiego del 40%», percentuali ancora più significative se si parla di donne nere. Dati politici e di semplice giustizia che non hanno avuto alcun effetto sulla Corte, e infatti l’opinione di maggioranza con cui Roe è stata spazzata via non si dà neanche troppo la pena di spiegare cosa subentri adesso alle garanzie sancite da Roe e Casey.

MA SUGLI OPPORTUNISTI che hanno cavalcato l’estremismo religioso e misogino del movimento per l’abolizione del diritto costituzionale all’aborto – fra cui l’ex presidente Donald Trump che ne è stato uno dei principali fautori – potrebbe fare una maggiore presa la conseguenza di questi dati e percentuali sull’andamento economico generale della nazione.
Quegli effetti «estremamente dannosi per l’economia» di cui ha parlato la segretaria del Tesoro Janet Yellen il mese scorso. «Roe v. Wade e l’accesso alla salute riproduttiva, fra cui l’aborto, hanno contribuito ad aumentare la partecipazione delle donne alla forza lavoro. Ha consentito a molte donne di finire la scuola. Cosa che ha incrementato il loro potenziale di guadagno».
Un’idea dell’impatto economico della sentenza di venerdì la offre uno studio dell’Institute for Women’s Policy Research, che analizza le perdite per le donne e la società sulla base delle restrizioni all’accesso all’aborto in vigore in moltissimi stati, in un contesto in cui questo diritto era però ancora riconosciuto: si tratta dunque di proiezioni necessariamente sottostimate rispetto a un panorama in cui l’accesso all’Ivg sarà del tutto o quasi negato in più della metà degli stati Usa (secondo il Guttmacher institute solo il 38% delle donne statunitensi fra i 13 e i 44 anni vive in stati che sostengono i loro diritti riproduttivi).

LO STUDIO RIPORTA che le restrizioni all’aborto costano nel complesso alle economie statali 105 miliardi di dollari l’anno, e rimuoverle farebbe crescere il Pil di tutta la nazione di circa lo 0,5%. Il solo Texas, ad esempio, e prima ancora della legge dell’anno scorso che ha proibito l’aborto dopo 6 settimane, ha perso circa 14,6 miliardi. Mentre è di circa 1.610 dollari la crescita stimata per i salari delle donne in età riproduttiva se le restrizioni fossero state eliminate. E senza le quali la forza lavoro di tutti gli Usa conterebbe 505.000 donne in più.