«Ho dei disaccordi con Jean-Luc Mélenchon», ha detto giovedì François Ruffin, deputato uscente di Amiens, eletto nel 2017 e nel 2022 con La France Insoumise. È al ballottaggio in una circoscrizione che vota a sinistra dal 1962 e che, per la prima volta da allora, rischia di passare al Rassemblement National.

I «disaccordi» sono profondi e, per illustrarli, Ruffin ha convocato una conferenza stampa alla periferia della cittadina della cintura settentrionale deindustrializzata, a un centinaio di chilometri dalla capitale. Davanti ai microfoni dei media il «deputato-reporter», regista di documentari (tra cui il pluri-premiato Merci patron!) e autore di vari libri, ha accusato Mélenchon «di abbandonare i paesi, i villaggi e le campagne popolari». Per questo, ha detto Ruffin, da ora in poi lui non farà più parte degli insoumis.

Il «caso Ruffin» illustra alla perfezione un conflitto che attraversa da molti anni la gauche. Una divergenza che sta portando un piccolo gruppo di figure della France insoumise ad allontanarsi dal partito, in disaccordo su tanti temi ma soprattutto su uno: cosa fare davanti all’avanzata dell’estrema destra?

Secondo un pezzo della sinistra francese, il legame di Lfi con i quartieri popolari urbani e con le popolazioni povere e razzializzate, è stato costruito a scapito di altri elettorati, in particolare della classe operaia «bianca» che, secondo quest’analisi, vota ormai in blocco il Rassemblement National (Rn). Fabien Roussel, segretario del Partito Comunista Francese (Pcf), è divenuto capo del proprio partito proprio con la promessa di riconquistare questo elettorato, in aperta polemica con Lfi. È stato spazzato via da un candidato del Rn, eliminato al primo turno delle legislative nel proprio feudo del Nord, perdendo una circoscrizione «rossa» dal 1958.

I dati disponibili mostrano che l’ondata Rn ha sommerso tutto il paese. Secondo i sondaggi più affidabili, il Nuovo Fronte Popolare è riuscito a tenere testa all’estrema destra soprattutto grazie al voto dei giovani, a quello degli strati più bassi delle classi popolari e dei quartieri popolari delle piccole e grandi città, subendo invece l’avanzata lepenista in particolare al di fuori dei centri urbani e tra l’elettorato della destra tradizionale.

Per conquistare questi elettorati, sostiene François Ruffin, non bisogna solo modificare i contenuti, ma anche la forma. Come ha scritto nel suo ultimo libro, la sinistra deve ripensare «il proprio stile». Nel 2022, in un’intervista a L’Obs, Ruffin ha invitato i suoi compagni di allora a moderare la propria radicalità, definendosi un «socialdemocratico», in aperta contrapposizione con l’intero corpus teorico degli insoumis. Posizioni che echeggiano quanto espresso da altre figure dissidenti come Clémentine Autain (deputata Lfi della Seine-Saint-Denis) o Alexis Corbière (al ballottaggio in quanto «dissidente» Lfi), ex-compagni di lungo corso di Mélenchon oggi in rotta con il leader.

Nessuno di loro tuttavia ha osato prendere le distanze in maniera così netta come Ruffin. Ritrovatosi in un ballottaggio sfavorevole, a quasi dieci punti di distanza dal candidato del Rn, il «deputato-reporter» ha distribuito alcuni volantini ad Amiens nei quali ha scritto che, qualora eletto, non siederà «nel gruppo de La France Insoumise». «Sono in disaccordo con Jean-Luc Mélenchon» su temi come la condanna degli «attacchi terroristi di Hamas» o sul fatto di «parlare con tutti, i sindacati e i padroni, gli artigiani e i commercianti, senza disprezzarli», si legge. Sono ormai lontani i tempi in cui l’attivista di Amiens, figlio della borghesia locale (ha frequentato lo stesso liceo di Macron) criticava le direzioni sindacali locali giudicandole troppo moderate.

Per Mélenchon, Ruffin commette un errore politico. In una conferenza tenuta martedì, il leader degli insoumis ha detto che contrapporre l’antirazzismo o i quartieri popolari ad altri elettorati significa cedere ai diktat di rispettabilità dei media, rinunciando a «convincere della forza del proprio programma». Una tattica difensiva, per definizione perdente, secondo lui. «Quando il vento soffia forte», ha ammonito Mélenchon giovedì sera, rispondendo alla polemica in tv, «porta via con sé le banderuole.»