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Il nostro al-Sarraj si arrende: «Mi dimetto a fine ottobre»

Il nostro al-Sarraj si arrende: «Mi dimetto a fine ottobre»Il premier dimissionario libico Fayez al Sarraj – Ap - LaPresse

Libia Il paese nel caos: prima del leader di Tripoli si era dimesso anche il premier della Cirenaica

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 18 settembre 2020

«Dichiaro il mio sincero desiderio di cedere le mie responsabilità al prossimo esecutivo non più tardi della fine di ottobre». Sono arrivate nella tarda notte di mercoledì le dimissioni di Fayez al-Sarraj da premier del Governo di Accordo Nazionale (Gna) di Tripoli. Sarraj non ha spiegato i motivi della sua scelta, ma ha detto che cederà i suoi poteri «non oltre la fine del prossimo ottobre» se però, ha precisato, verrà scelto «un nuovo consiglio presidenziale e un governo come dichiarato da Berlino». Parole ambigue che lasciano aperta alla possibilità di restare alla guida dell’esecutivo.

AL-SARRAJ MEDITAVA da tempo queste dichiarazioni. Chi pensava che la vittoria contro il generale Haftar, il capo cirenaico dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl), potesse rappresentare l’inizio di una nuova alba in Tripolitania si sbagliava di grosso. Anzi, proprio lo stand-by della guerra civile con il fronte congelato a Sirte ha riportato al centro le lacerazioni interne del Gna che la guerra contro il «nemico» cirenaico aveva messo solo temporaneamente a tacere. Ad agosto la crisi politica interna era divenuta pubblica con la sospensione del potente ministro degli Interni Bashagha della città di Misurata, subito rintegrato per evitare un’accesa disputa tra le milizie armate e rivali che sostengono l’esecutivo tripolino. Pressato e stanco degli intrighi interni, al-Sarraj amministratore di qualche area di Tripoli e mai veramente capo di governo, ha preferito mollare.

Temporaneamente per allontanare da sé le pressioni per poi rientrare come ha lasciato intendere? Uno scenario possibile, secondo alcuni analisti.

QUEL CHE È CERTO è che la decisione del premier era nota alla Turchia, vera protagonista del dossier libico e fondamentale nella sconfitta di Haftar. Ankara e Mosca (partner-chiave invece di Tobruk) tutto vogliono tranne che il caos regni sovrano in Libia con le milizie che se ne approfittano del vuoto politico e sono passati perciò subito ai ripari concordando per un cessate il fuoco nell’intero Paese. Resta da capire quanto sapeva l’Italia della decisione di al-Sarraj, l’uomo su cui Roma ha puntato per anni le sue fiches salvo poi (lo scorso dicembre) aprirsi anche al nemico Haftar. Resterà ora ancora più fuori dalla partita libica?

LA LIBIA VIVE una fase molto delicata. La scorsa settimana l’Onu ha portato avanti in Marocco e Svizzera un dialogo politico intra-libico che dovrebbe portare alla nascita di un nuovo Consiglio «ristretto» con tre membri in rappresentanza delle regioni della Libia (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan) più un primo ministro «indipendente» dell’organo di presidenza. Per la sede dell’esecutivo si fa il nome di Sirte, città «neutrale» nello scontro est e ovest del Paese.

L’idea avanzata dagli ultimi incontri all’estero potrebbe farsi ancora più reale nei giorni in cui gli esecutivi di Tripoli e Tobruk si dissolvono come neve al sole.

Sì perché, solo pochi giorni prima delle dimissioni di al-Sarraj, si era dimesso anche il premier al-Thinni. In Cirenaica, la situazione politica non è meno confusa di quella tripolina: le mediazioni interne guidate dal presidente del parlamento Saleh non hanno prodotto ancora un nuovo capo di governo sebbene il favorito sia Buchnaf, ministro dell’interno e uomo vicino ad Haftar. Dopo tutto il capo dell’Eln vuole ancora tagliarsi uno spazio nel Paese nonostante sia sempre più solo internazionalmente. Due giorni fa le sue forze hanno annunciato di aver sgominato una cellula terroristica legata allo Stato Islamico uccidendo 9 miliziani (tra cui anche Abu Abdullah, il nuovo “califfo” locale).

E POI C’È la provocazione verso l’Italia sulla questione dei 18 pescatori (8 italiani) sequestrati a inizio mese a largo di Bengasi e per la cui liberazione ha chiesto il rilascio di «4 calciatori libici» condannati però da noi come scafisti e assassini. Sulla faccenda – emblematica della frustrazione del generale abbandonato – è ritornato l’altro giorno il ministro Di Maio che ha confermato di aver sentito gli «attori internazionali che hanno influenza su Haftar (Emirati e Russia) ». «Non accettiamo ricatti – ha promesso il ministro – i nostri connazionali devono tornare a casa».

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