Il fantasma pazzarello di Charles Trenet percorre ancora le vecchie strade del centro di Perpignan, anche se le strofe di «Douce France», forse la sua canzone più nota, lanciata già in piena guerra mondiale, nel 1943, suonano più sinistre che rassicuranti ora che della «dolce incoscienza dell’infanzia» sembra essere rimasto davvero ben poco nella città catalana scossa dalla violenza.

LO SA BENE IL TENENTE di polizia Gilles Sebag che si trova a fare i conti con un omicidio commesso durante le cerimonie del Venerdì Santo. Il Sanch, come si chiama da queste parti, che vede sfilare in processione attraverso l’antico cuore urbano un corteo di uomini vestiti con tunica e cappuccio bianchi, le donne seguono vestite di nero, le sofferenze e gli oltraggi subiti da Cristo. E, come se non bastasse, negli stessi momenti agli agenti arriva la segnalazione che una rapina è appena stata compiuta in una gioielleria di un’altra zona della città. Tra i due eventi ci può essere un qualche legame, si interrogano inquieti gli investigatori?

A rendere però tutto ancor più misterioso, e affascinante per i lettori, arriva la scoperta che la vittima, colpita a morte con un coltello durante la processione, viveva proprio nell’ex casa di Trenet, dove il cantante aveva passato parte della giovinezza prima di trasferirsi a Parigi a vent’anni intorno al 1930.

Un ritornello non fa primavera (e/o, pp. 314, euro 18, traduzione di Silvia Manfredo), nuovo capitolo delle indagini di Sebag – le edizioni e/o hanno già pubblicato In autunno cova la vendetta, Il paradosso dell’aquilone e La stagione dei tradimenti – illustra ancora una volta la capacità di Philippe Georget di rendere il lato in ombra della vita di provincia, spesso immersa in pregiudizi e rancori sedimentati nel corso del tempo e che riecheggiano nella memoria individuale come in quella collettiva. Per lo scrittore, nato nella banlieue di Parigi ma trapiantato da tempo nella città dei Pirenei orientali, che nell’ultimo decennio si è affermato come uno dei volti nuovi del polar transalpino, si tratta però anche di indagare nell’animo di personaggi che oltre che commettere o risolvere dei crimini non cessano di interrogarsi sul senso ultimo dell’esistenza.

COME ACCADE, spesso, allo stesso Sebag che anche nel pieno di un’inchiesta cerca di riordinare le idee, di dare un significato più profondo alle proprie azioni. «Si era lasciato alle spalle il commissariato e quel cazzo di mestiere di sbirro. Ora che aveva finito di giocare a fare il duro, di sbattere in galera autentici rapinatori e finti assassini, stava finalmente per dare libero sfogo alle sue vere inclinazioni. I colleghi l’avevano spesso preso in giro, per questo, i più gentili gli avevano dato dello psicologo mancato, gli altri lo avevano definito uno pseudo assistente sociale».

Anche Christophe Gavat ama sondare la personalità dei suoi personaggi, a partire proprio dagli uomini e le donne in divisa il cui lavoro racconta nei suoi romanzi. Ma c’è da credere che a spingerlo verso tale direzione sia prima di tutto il fatto che lui lo sbirro lo ha fatto davvero e per quasi venticinque anni: dalla regione della capitale a Lione, Cannes, Perpignan e fino alla Guyana.

Poi, dopo un’indagine interna dalla quale è uscito indenne – ad essere accusato di una condotta poco chiara era stato il suo superiore nella polizia giudiziaria di Lione Michel Neyret -, l’inizio di una nuova vita, questa volta come scrittore. Dapprima per raccontare quella brutta avventura – descritta anche in un film per la tv, Borderline, dal regista Olivier Marchal -, e poi per trasferire l’esperienza fatta nei commissariati di periferia come nelle brigate anti-rapina e contro la criminalità organizzata, in un pugno di romanzi dal ritmo implacabile.

QUESTO IL CASO di Omicidio a Cap Canaille (Neri Pozza, pp. 270, euro 18, traduzione di Maddalena Togliani), il primo tra i suoi titoli ad essere pubblicato in Italia, che vede una squadra della polizia di Marsiglia seguire le tracce di una serie di crimini legati al traffico di droga che per quanto siano stati commessi in tutta la Francia sembrano ricondurre inevitabilmente alla guerra tra le gang in corso nella città mediterranea. Una storia di flic che mostra più ancora che il volto del crimine, e il contesto sociale nel quale si sviluppa, l’inquietudine di quanti, uomini e donne, devono farvi fronte ogni giorno.