Lo striscione che apre il corteo dice «Fascismo, razzismo e sfruttamento. Non sulla nostra pelle». Lo tengono in mano le donne del movimento migranti e rifugiati. Una di loro spinge una carrozzina. Un’altra agita il cartello: «Se non sei anti-razzista sei complice». Da queste parti la parola «razzismo» non rimanda a un’idea sbagliata da contrastare, ma a una condizione materiale che si traduce in ricatti quotidiani. Si declina spesso insieme a sfruttamento e schiavitù. «Schiavi mai», dice uno striscione.

RAZZISMO È per esempio quello di una ditta di noleggio pullman che il giorno prima di questa manifestazione, denunciano gli organizzatori, ha ritirato la disponibilità di due mezzi. «Non volevano portare i neri a protestare nella capitale», dicono dal microfono. Era una delle sei contattate, insieme alle altre si è riusciti a far arrivare tutti. Dodici pullman dalla Campania, soprattutto Caserta e Napoli, e poi tanti lavoratori migranti giunti in macchina o treno, da soli o in gruppo, per non perdere questo appuntamento.

PERCHÉ razzismo è anche quello del governo Meloni che con il dl Cutro vuole limitare l’accesso alla protezione speciale, condannando decine di migliaia di persone all’irregolarità. Contro quella misura a marzo sono iniziate assemblee e riunioni che hanno portato alla mobilitazione nazionale di ieri: «Non sulla nostra pelle». «Non vogliamo essere invisibili. Ci sfruttano in mare, nei ristoranti, nelle campagne. Abbiamo diritto ad avere diritti. Siamo qui per lottare per un futuro diverso. Vogliamo un futuro bellissimo per i nostri figli», dice Ruth. Ha 23 anni ed è la portavoce del Movimento migranti e rifugiati di Napoli. Accanto a lei Isabel tiene per mano una bambina piccola e sorridente: «Ogni due anni cambiano la legge sui documenti. Non è giusto nei nostri confronti. Senza il permesso di soggiorno non possiamo lavorare, aprire un conto in banca, andare dal medico».

SCENDENDO dal quartiere Esquilino verso l’Altare della patria il corteo si gonfia. Sventolano le bandiere di Potere al Popolo, del centro sociale napoletano Ex Opg Je so’ pazzo, dei ragazzi di Osa (Opposizione studentesca d’alternativa), della Ong Mediterranea e soprattutto del sindacato Usb. «In questa piazza ci sono lavoratori della logistica, braccianti da Puglia e Calabria, colf e badanti – dice Guido Lutrario, dell’esecutivo confederale Usb – Come sindacato contestiamo il vincolo tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno: è uno strumento di ricatto verso i lavoratori migranti. Sono sempre loro che subiscono gli attacchi più pesanti e la precarizzazione più dura».

DECINE DI FISCHIETTI alzano i decibel. C’è voglia di farsi vedere, ma anche sentire. Si canta forte, insieme: «Permesso di soggiorno, subito», «Libertà», «No, no, non sulla nostra pelle». Le pettorine rosse del Movimento migranti e rifugiati di Caserta, protagonista della mobilitazione, mettono ordine tra gli spezzoni. «La protezione speciale ha aiutato tanti amici a trovare lavoro o studiare. È gravissimo limitarla. Così aumenterà lo sfruttamento nei campi, le persone finiranno per strada, dovranno interrompere gli studi», dice Abraham. Ha 23 anni, fa il mediatore culturale a Caserta. È sbarcato a Lampedusa nel 2017. «Ero minorenne, ho frequentato la scuola e adesso sono iscritto all’università: sto studiando scienze politiche», continua. Anche Durein fa lo stesso lavoro, è nato in Costa D’Avorio ma vive a Salerno. E infatti risponde «tengo 26 anni», come qualsiasi ragazzo del Sud. «Basta con la paura. Noi immigrati contribuiamo allo sviluppo di questo paese. Portiamo reddito, tasse, nuove culture. Siamo una ricchezza. Questa legge del governo vuole impedirci di dare qualcosa all’Italia, vuole distruggere la nostra società».

DALLA PIAZZA si guarda anche verso il Mediterraneo. C’è rabbia per il naufragio di Cutro. «Potevano essere salvati, potevano essere salvati», dice un ragazzo. Un altro mostra la scritta: «Abolish Frontex». Tanti dei manifestanti presenti sono arrivati in Italia attraversando il mare. Sanno di essere dei sopravvissuti. È anche questo dà loro la forza di lottare: per chi non ce l’ha fatta, per chi è prigioniero nell’inferno libico, per chi ancora e ancora tenterà quel viaggio, per renderne la meta un posto migliore. «Non solo per noi, ma per tutti», ripetono al microfono.