Il nazionalismo di Modi aizza i sentimenti anti-cinesi
Cina-India Il moto d’orgoglio nazionalista di Modi, per giorni in silenzio mentre la crisi montava, ha incassato il sostegno di tutte le forze parlamentari. Anche dell’Indian National Congress (Inc) di Sonia Gandhi
Cina-India Il moto d’orgoglio nazionalista di Modi, per giorni in silenzio mentre la crisi montava, ha incassato il sostegno di tutte le forze parlamentari. Anche dell’Indian National Congress (Inc) di Sonia Gandhi
«Venti dei nostri ragazzi sono morti, ma hanno impartito una lezione a chi ha osato mettere gli occhi su Madre India». E ancora: «Le nostre forze armate faranno tutto il necessario per proteggere il paese. Oggi abbiamo tali capacità da far sì che nessuno possa nemmeno pensare di mettere gli occhi su anche solo un centimetro del nostro territorio».
A conclusione della riunione inter-parlamentare tenutasi ieri sera in via telematica coi principali esponenti delle opposizioni, il primo ministro Narendra Modi ha optato per una risposta d’orgoglio al disastro della valle di Galwan.
Modi ha chiarito che «nessuno ha conquistato alcuna posizione indiana, nessuno si è introdotto in territorio indiano». Dichiarazione ufficiale che confuta una serie di ricostruzioni decisamente meno rosee, come quella di Ajay Shukla, già colonnello dell’esercito e da anni giornalista esperto di sicurezza e difesa. Secondo le fonti di Shukla, la Cina nelle ultime sei settimane avrebbe già occupato almeno 60 kmq di territorio controllato dall’India, spalmato lungo gli oltre tremila km di confine conteso lungo l’Himalaya.
Se è molto difficile determinare l’entità dell’invasione territoriale cinese – Cina e India non concordano sulle delimitazioni topografiche della cosiddetta Line of Actual Control (Lac), il confine conteso – è ora certo che l’esercito cinese ha spostato un alto numero di uomini e mezzi a ridosso del confine. Lo dimostra una serie di foto satellitari – scattate da Planet Labs e ottenute da Reuters – che mostrano un notevole incremento di uomini e macchinari cinesi nella valle di Galwan tra il 9 giugno (sei giorni prima dello scontro) e il 16 giugno (il giorno dopo).
Sempre ieri, una fonte anonima del governo indiano ha rivelato a Reuters che giovedì 18 giugno dieci soldati indiani fatti prigionieri dall’esercito cinese sono stati liberati. Ancora una volta, confutando la versione precedente dello stesso esercito indiano, secondo cui tra le truppe di stanza nella valle «non mancava nessuno». Nel pomeriggio, a Pechino, il portavoce degli esteri Zhao Lijian ha dichiarato che «al momento la Cina non sta trattenendo nessun indiano».
Il moto d’orgoglio nazionalista di Modi, per giorni in silenzio mentre la crisi montava, ha incassato il sostegno di tutte le forze parlamentari. Anche dell’Indian National Congress (Inc) di Sonia Gandhi che, durante il meeting virtuale di ieri sera, ha chiesto trasparenza e chiarezza al governo circa la situazione sul campo lungo la Lac.
Modi, a questo proposito, ha spiegato che l’esercito ha avuto ordini di aumentare le operazioni di ricognizione, schierando più uomini e mezzi.
Mentre rimane aperto il canale diplomatico per una de-escalation già pattuita a livello istituzionale tra Pechino e New Delhi, in India si moltiplicano le manifestazioni di un sentimento anti-cinese diffuso: televisori cinesi sfasciati, pupazzi dalle sembianze orientali dati alle fiamme e appelli per chiudere ristoranti che servono piatti «cinesi».
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