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Il «modell Deutschland» è andato in crisi

Il «modell Deutschland» è andato in crisiAngela Merkel – Ap

Terremoto politico Il futuro del Partito cristiano democratico si presenta oggi assai incerto, scricchiola la Grande coalizione, i dati economici volgono al peggio, diseguaglianze ed esclusione continuano a crescere: la crisi profonda del quadro politico tedesco rischia pesanti ripercussioni anche in Europa

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 11 febbraio 2020

Che il terremoto con epicentro in Turingia si sarebbe fatto fragorosamente sentire anche a Berlino era evidente a tutti. Ma nessuno prevedeva che avrebbe lesionato così gravemente il principale edificio politico della Bundesrepublik, il Partito cristiano democratico, il cui futuro si presenta oggi assai incerto.

L’annuncio improvviso della sua presidente Annegret Kramp-Karrenbauer di voler rinunciare alla direzione del partito e dunque alla corsa per la Cancelleria testimonia di una situazione finita fuori controllo. Può darsi che la statura politica della presidente non fosse sufficiente a contenere le pulsioni divergenti dei suoi colleghi di partito e soprattutto le federazioni della Germania orientale, o che all’ombra di Angela Merkel non fosse comunque possibile avviare una politica diversa dalla piatta continuazione della sua, e quindi inefficace nel contrastarne il logoramento. Un logoramento che si inscrive nell’ormai lungo declino dei grandi partiti popolari del dopoguerra.

Il Modell Deutschland che ha costituito la solida base della Grande coalizione è entrato in una crisi che appare ben più profonda di una battuta d’arresto.

I dati economici volgono al peggio, il rigore si rivolta contro la stabilità che si presumeva dovesse garantire per l’eternità. Diseguaglianze ed esclusione continuano a crescere. E nei Länder orientali, ancora affetti da gravi squilibri a trent’anni dalla riunificazione, le condizioni sociali si mostrano ancora più difficili.

In questo quadro è cresciuta Alternative für Deutschland tanto più cospicuamente quanto più, distanziandosi dalle origini borghesi, andava radicalizzandosi a destra. Di fronte a questo fenomeno era stato tempestivamente steso il cordone sanitario che nella Germania del dopoguerra ha sempre interdetto la collaborazione con la destra estrema. Ma nella Cdu e nell’alleata Csu bavarese non pochi imputavano l’espansione (e la concorrenza) di Afd alla politica di Angela Merkel che, soprattutto a partire dalla cosiddetta crisi dei profughi, avrebbe sbilanciato sempre più a sinistra il centrismo democristiano. Dunque, se si doveva escludere qualsiasi forma di interlocuzione con il partito nazionalista e xenofobo di Gauland e Höcke, bisognava ricondurre a destra, e non di poco, l’asse del partito per riconquistare i settori più conservatori dell’elettorato. Questo avrebbe però decretato la fine della Grande coalizione poiché una socialdemocrazia già ampiamente dissanguata dalla affannosa rincorsa del credo neoliberale, non avrebbe potuto in nessun modo seguire i partner di governo su questa strada. E nemmeno i verdi, per storia e per composizione del loro elettorato, avrebbero potuto facilmente cooperare con una Cdu/Csu decisamente spostata a destra. Senza contare il fatto che l’appeal di Afd dipende in buona misura da una demagogia di genere populista che mai i centristi potrebbero fare propria. Un rebus, insomma, di ardua soluzione che Angela Merkel ha cercato di aggirare centellinando la sua uscita di scena e alimentando implicitamente il mito se non della sua insostituibilità, almeno di quella del suo stile politico.

Di fronte alla crisi in Turingia che aveva visto confluire sullo stesso candidato liberale i voti di Fdp, Cdu e Afd, Kramp-Karrenbauer non aveva trovato niente di meglio che sollevare un problema di “opposti estremismi”.

Argomento assai debole dato che in Germania ben pochi considerano la Linke, a differenza dei nazionalisti di Afd , un pericolo per la democrazia tedesca. E anche perché il terreno dello scontro era visibilmente interno al centro cristiano democratico.

Fatto sta che una crisi profonda del quadro politico tedesco, diversa e più insidiosa di quelle che abbiamo conosciuto negli ultimi anni, accompagnata per giunta dal segno negativo dei dati economici rischia pesanti ripercussioni in un’Europa che già si dibatte in gravi difficoltà. La bandiera della “priorità nazionale”, della difesa della propria rendita di posizione da parte della Germania non promette nulla di buono quanto all’avanzamento del processo di integrazione europea e ancor meno per lo sviluppo di politiche sociali e solidali, per non parlare di quelle migratorie. È intanto su questo risultato che i nazionalisti di Afd scommettono. E non è detto che si sbaglino.

 

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