«Il mio vicino Adolf», il nazismo in una partita a scacchi tra vicini
Al cinema Leon Prudovsky firma una commedia che prova a affrontare le sofferenze della Shoah
Al cinema Leon Prudovsky firma una commedia che prova a affrontare le sofferenze della Shoah
Sud America, 1960. Valdivia è tra le città cilene più colpite dal devastante terremoto, ricordato come il più potente tra quelli finora registrati sul pianeta. Una decina di giorni prima, in Argentina, Adolf Eichmann è catturato e trasportato clandestinamente in Israele per subire il processo che poi terminerà con la sua condanna a morte.
IN QUEL MAGGIO luttuoso, da qualche parte, Malek Polsky coltiva le sue rose nere, gioca a scacchi per conto proprio ed è poco disposto a socializzare col prossimo. Sembra interessato esclusivamente alla difesa del suo piccolo e sperduto territorio. Un’abitazione circondata da un prato e da una recinzione un po’ approssimativa e traballante. Accanto, sorge un’altra casa con un nuovo occupante non meno restio al contatto umano. Insomma, due persone nel mezzo del nulla separate da un esile confine che vorrebbero ignorarsi, ma non possono farlo. Herman Herzog e il suo cane, infatti, mettono a repentaglio la vita degli amati fiori del signor Polsky. Ma è solo l’inizio. Dopo qualche schermaglia, Malek si convince che il confinante sia una persona che tutto il mondo dà per morto: Adolf Hitler.
Il conflitto assume proporzioni più ampie. Per l’uomo di origini polacche, la vicenda non è solo storica, politica e morale. È una questione personale. Come se, messi i panni del Capitano Achab, avesse dinanzi a sé Moby Dick e chiedesse conto alla balena bianca delle ossessioni che lo perseguitano da quando gli strappò via la gamba. Per Malek, è drammaticamente in gioco il suo non troppo recente passato, la famiglia sterminata dai nazisti, la vita che si è ridotta a un insediamento in un paese di cui non conosce la lingua e dal quale ha preso le distanze perché quello che è andato distrutto non può essere ricostruito, come accade persino dopo un catastrofico sisma.
Le partite a scacchi diventano un espediente per entrare nella casa del nemico e per osservarlo da vicino. Ogni indizio potrebbe essere utile per smascherarlo, per rivelare al mondo intero la sua reale identità. Tuttavia, come ogni avvicinamento, anche in questo caso, nasce una relazione seppur ondulata, tra reticenze e sospetti, ammiccamenti e imbarazzi. Malek e Herman non possono dirsi amici, ma si fanno compagnia in una porzione di mondo desolata.
CON I TONI di una commedia amara, Il mio vicino Adolf di Leon Prudovsky si avvicina a temi al limite della dicibilità. Non è semplice trovare il modo di raccontare le sofferenze e i tormenti di un sopravvissuto alla Shoah. Difficoltà ampliata poiché il film oscilla tra l’ironico e il tragico. Ed è forse per questo che il regista ha preferito rimanere distante da ogni eccesso, limitandosi a tratteggiare i due personaggi senza mai approfondirne i sentimenti e svelarne i demoni. In particolare modo, la figura di Herzog rimane sospesa in un limbo, vittima dell’idea stessa del film. Pensare che sia Hitler impedisce ogni empatia. Ma se diventasse amico di Malek, come dovremmo reagire?
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