In tanti si accanirono «con crudeltà», quella notte del 27 aprile 2022, sul detenuto 41enne affetto da gravi problemi psichiatrici – «inerme e disteso sul pavimento alla mercé degli agenti» -, che poco prima aveva dato fuoco al materasso della propria cella, nel carcere di Bari. I picchiatori portavano la divisa dei tutori dell’ordine di Stato. Altri assistettero al pestaggio senza alcuna reazione. Altri ancora coprirono il crimine. Fu una «violenza realizzata a più riprese, in modo corale, da un numero cospicuo di agenti in danno di un detenuto oggettivamente reso più fragile dalla situazione di pericolo appena vissuta, pur se da lui stesso provocata». A sostenerlo è la gup di Bari, Rossana De Cristofaro, che ha redatto le motivazioni della sentenza di condanna emessa per uno degli agenti.

L’EX SOVRINTENDENTE della polizia penitenziaria barese, Domenico Coppi, è stato infatti già condannato in primo grado, nel luglio 2023 e con rito abbreviato, a tre anni e sei mesi di reclusione per tortura, rifiuto d’atti d’ufficio e falso ideologico. Anche il medico dell’infermeria Gianluca Palumbo è stato ritenuto colpevole di omessa denuncia, con un anno e due mesi di reclusione (pena sospesa). Altri 11 imputati, tra medici, infermieri e agenti, sono a processo in questi giorni con rito ordinario per lo stesso fatto, con accuse che vanno dalla tortura (per cinque poliziotti, tra i quali l’ex assistente capo della polizia penitenziaria di Bari, Raffaele Finestrone), falso in atto pubblico e rifiuto di atti d’ufficio, violenza privata e abuso d’ufficio, fino alla omessa denuncia. Il procuratore aggiunto Maralfa e la sostituta Spagnuolo il 10 gennaio scorso hanno chiesto condanne dagli otto anni di reclusione, per le ipotesi di reato più gravi, fino a una sanzione pecuniaria di 60 euro per due infermieri che avrebbero assistito al pestaggio senza denunciare. Ieri, dopo la discussione delle difese, il collegio presieduto dal giudice Antonio Diella ha aggiornato il processo al 24 gennaio.

«L’AGIRE DELL’IMPUTATO, e degli altri concorrenti nel medesimo reato – scrive la giudice De Cristofaro nelle motivazioni -, sarebbe comunque connotato da crudeltà, poiché dalla visione del video (registrato dalle telecamere interne, ndr) emerge chiaramente come si sia trattato di contegni eccedenti la normalità causale, in quanto inflitte in danno di detenuto psichiatrico, in quegli specifici momenti apparso completamente inerme e disteso sul pavimento alla mercé degli agenti, senza alcuna reazione, venendo dunque ad essere connotate da sofferenze aggiuntive ingiustificate». Il 41enne «si trovava in stato di privazione della libertà personale e comunque in condizione di minorata difesa» e, si legge nella sentenza, «al momento della condotta aggressiva giacente in terra, da solo, al cospetto di un numero cospicuo di agenti», «di fatto innocuo». Per la gup «le gravi violenze esercitate sulla vittima hanno comportato acute sofferenze fisiche e ragionevolmente anche un verificabile trauma psichico».

SECONDO L’ACCUSA, le violenze sarebbero iniziate lungo il percorso dalla cella all’infermeria e il detenuto, una volta a terra, sarebbe stato colpito con calci e schiaffi «sottoponendolo per circa 4 minuti a un trattamento inumano e degradante». Uno degli agenti lo avrebbe tenuto bloccato mettendosi di peso sui suoi piedi.

La tesi della difesa però è che si tratti di un eccesso dell’uso della forza ma non di tortura: «Quanto successo quella sera non si doveva verificare – ha sostenuto l’avvocato Guglielmo Starace, difensore di quattro imputati – Le violenze ci sono state, ma quel terribile episodio è un’aggressione, un pestaggio, ma non una tortura». Una posizione immediatamente fatta propria dal sindacato di polizia penitenziaria Sappe che declassa il pestaggio del detenuto malato come «un’azione deprecabile avvenuta in una situazione di estremo pericolo e di stress». Un altro degli agenti imputati però, Giacomo Delia, ha avuto il coraggio di chiedere scusa e di annunciare: «Sto seguendo un percorso dallo psichiatra e ho chiesto la pensione».