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Il governo calpesta le camere. Protesta pure la maggioranza

L’aula del Senato foto LaPresseL’aula del Senato – foto LaPresse

Giustizia Nuova fiducia al senato, commissione scavalcata e il presidente si lamenta. Settembre record per i decreti: ben 6. Magi: opposizione da Mattarella. Che si sa come la pensa

Pubblicato circa un anno faEdizione del 5 ottobre 2023

L’Italia è una Repubblica parlamentare. Sempre più per modo di dire. Ieri il Senato la licenziato con 100 voti contro 71 il decreto un-po’-di-tutto. Formalmente era decreto giustizia perché trattava di processi penali e civili ma c’erano dentro anche le norme contro i piromani, qualcosa sul recupero delle tossicodipenze, norme sulla salute e sulla cultura, sul personale della magistratura e su quello della Pa. E per fortuna il presidente Mattarella aveva chiesto con la dovuta solennità di evitare decreti omnibus, stando attenti ad accorpare solo argomenti almeno un po’ omogenei. Macché. Meglio l’insalata russa in salsa parlamentare.

IL DECRETO di ieri era il settimo votato in questo mese: un record. Non che nei precedenti il governo avesse lesinato, tutt’altro: di decreti in meno di un anno ne ha sfornati 29. Sinora non era però mai arrivato oltre i cinque in un mese. Ha superato se stesso e chissà in futuro. Il decreto è passato con la fiducia, e lì si è quasi perso il conto, dovremmo essere a 19 voti di fiducia sempre che qualcosa nella ressa non sia sfuggito: pratica comune. Stavolta le cose sono state un po’ più frenetiche e sgangherate del solito, e sì che ce ne voleva. Così il decreto è arrivato in aula senza relatore, giusto in tempo per essere cotto e mangiato, pardon votato. In aula risuona alta e sonora la protesta: «Il pochissimo tempo a disposizione non ci ha consentito nemmeno di concludere l’illustrazione degli emendamenti». Non è un polemico senatore dell’opposizione ma il presidente della commissione Affari costituzionali Aberto Balboni, tessera FdI in tasca. L’incresciosa circostanza provoca in lui un certo «disagio». Appena appena.
I 5 Stelle per protesta avevano abbandonato la riunione delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia congiunte. «Mi sento il figurante in una democrazia recitativa, parte di una messa in scena per il pubblico», commentava lasciando l’aula Scarpinato.

«Questa situazione è intollerabile, vergognosa e mortifica il Parlamento. I provvedimenti vengono approvati senza discussione: siamo alla ratifica», sbotta il capogruppo di Avs De Cristofaro. Più precisamente siamo a una specie di riforma costituzionale mai dichiarata, mai votata ma realizzata praticando l’obiettivo: il monocameralismo alternato. Una Camera a turno, pur coi vincoli della decretazione bulimica e del voto di fiducia a go go, quanto meno discute i decreti. Nell’altra si fa solo in tempo ad alzare le mani per ratificare. E ancora ancora.

Il secondo e terzo cittadino dello Stato, presidenti di Senato e Camera, in questo sfottimento permanente della democrazia parlamentare hanno le loro responsabilità precise. Se la prima lettura non si prolungasse sino a 40 o 50 giorni l’altra Camera avrebbe quanto meno il tempo per leggere cosa sta votando. Così, per curiosità. A palazzo Madama il tetto di 30 giorni non sarebbe neppure un optional ma un obbligo. Ma si sa che non tutti i regolamenti vincolano allo stesso modo.

PROTESTA anche la segretaria del Pd Schlein, ma piano, con garbo: «C’è un ricorso eccessivo alla decretazione d’urgenza e agli omnibus che rende difficile esercitare le prerogative del Parlamento». Non è che le sia venuta meno tutta insieme l’abituale verve polemica. È che i governi con il Pd dentro si comportavano esattamente allo stesso modo, anche se come è inevitabile di legislatura in legislatura le cose vanno peggio. La segretaria, poi, sa bene che se in maggioranza si trovasse di nuovo il suo partito abuserebbe tale e quale. Del resto il monocameralismo alternato non lo ha certo inventato la destra: lo ha ereditato pronto all’uso dalla legislatura precedente, quella dei governi Conte 2 e Draghi.

Qualcosa in più vorrebbe fare Riccardo Magi, di +Europa: «Qui ripetiamo la solita nenia e così anche la nenia diventa prassi. Propongo a tutte le opposizioni di andare tutti insieme da Mattarella, magari il 22 ottobre, quando il governo compie un anno». Difficile che il Pd gli dia retta: faccia tosta sì ma fino a un certo punto. Mattarella lo strame che si fa ogni giorno della democrazia parlamentare, che ormai solo nominarla pare una barzelletta, lo conosce perfettamente e non lo apprezza. Magari prima o poi deciderà di intervenire.

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