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Il giudice ordina: «Lula libero». Ma scatta il veto dei militari

Il giudice ordina: «Lula libero». Ma scatta il veto dei militariLuiz Inácio Lula da Silva

Nel Brasile di Bolsonaro Pesante ingerenza dell'esercito e del figlio deputato del nuovo presidente, l'Alta corte è costretta ad annullare l'orduine di scarcerazionea decisione

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 21 dicembre 2018

I«Marcirà in galera», aveva detto di Lula Bolsonaro in campagna elettorale. E tutto indica che farà di tutto per mantenere la promessa. Dopo cinque tentativi da parte dei legali dell’ex presidente per farlo uscire di prigione, non ha avuto successo, complici le pressioni dei militari, neppure l’ordine transitorio emanato dal giudice del Supremo tribunale federale Marco Aurélio Mello, il quale, mercoledì, appena prima dell’inizio delle ferie del Stf, aveva autorizzato la scarcerazione di tutti i detenuti condannati in secondo grado, compreso dunque Lula, chiuso in carcere a Curitiba dal 7 aprile scorso.

ACCOGLIENDO LA RICHIESTA del Partito comunista del Brasile, il magistrato si era richiamato all’articolo 283 del Codice di procedura penale, che non consente l’arresto prima che la sentenza di condanna passi in giudicato. Una questione avvolta nella massima incertezza giuridica, da quando, nel 2016, la Corte suprema, con un solo voto di scarto aveva autorizzato il carcere già dopo il secondo grado di giudizio.
Invano Marco Aurélio Mello aveva sollecitato, dal 2017, una nuova e risolutiva discussione sulla questione: il fermo rifiuto dell’ex presidente del Stf Cármen Lúcia di metterla in agenda e il ritardo con cui l’attuale presidente Dias Toffoli si era infine deciso ad autorizzarla, fissando la riunione per il prossimo 10 aprile, ha indotto il magistrato a scendere in campo a difesa del dettato costituzionale. «È stata la mia coscienza a indurmi a questo passo», aveva spiegato, aggiungendo che, se la Corte avesse fatto onore alla sua natura «suprema», la decisione sarebbe stata applicata: «Sarà un test per la nostra democrazia, per capire se le nostre istituzioni vengono ancora rispettate».

IL TEST È FALLITO. Non appena il provvedimento del giudice è stato reso noto, i poteri ostili al Pt sono subito entrati nel panico. Eduardo Bolsonaro, già distintosi per aver affermato che sarebbero bastati «un soldato semplice e un caporale» per chiudere la Corte suprema, ha rilanciato un tweet inneggiante all’arresto di Marco Aurélio Mello. E il procuratore della Repubblica Deltan Dallagnol, coordinatore della task force dell’inchiesta Lava Jato in Paraná, ha parlato di «effetto catastrofico» della decisione del magistrato.

E mentre tutti gli occhi si rivolgevano verso Dias Toffoli, l’Alto comando dell’esercito, riunitosi immediatamente, tramite videoconferenza, per discutere le possibili conseguenze del provvedimento, ha adottato un atteggiamento di «vigilanza», confidando nella decisione del presidente del Stf. Il quale ha docilmente e prontamente annullato la decisione di Mello – malgrado nessun ministro della Corte suprema, neanche il presidente, sia in realtà competente ad abolire il provvedimento di un collega -, rimandando la decisione alla riunione del plenario del Stf fissata per il 10 aprile.

E COSÌ, PER I MILITARI, non c’è stato neppure bisogno di lanciare un richiamo all’ordine come quello emesso, lo scorso aprile, all’epoca della discussione sulla richiesta di habeas corpus presentata dai legali di Lula, dal generale Villa Boas, il quale, mesi dopo, avrebbe poi ammesso di aver agito «al limite», per scongiurare il rischio che la situazione «potesse sfuggire al controllo». Il generale Paulo Chagas in un tweet chiede oggi l’espulsione di Marco Aurélio Mello.

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