«Ho avuto l’onore in questa sessione di scrivere quella che credo sia l’unica decisione della Corte suprema nella storia di questa istituzione a venire attaccata da tutta una serie di leader stranieri, che si sono sentiti perfettamente a loro agio a commentare la legge americana». Lo ha detto il giudice della Corte suprema Usa Samuel Alito – l’autore dell’opinione di maggioranza nella sentenza che il mese scorso ha annullato il diritto federale all’aborto, Dobbs v. Jackson’s Womens’ Health Organization – da un pulpito d’eccezione: il sontuoso Palazzo Colonna di Roma. La patria del cattolicesimo per uno dei sei giudici cattolici (a eccezione di Gorsuch, che ha però avuto un’educazione cattolica) che stanno riscrivendo il diritto americano in chiave di fondamentalismo religioso.
Il giudice era infatti l’ospite d’onore di un evento di due giorni sulla libertà religiosa organizzato dalla Notre Dame Law School (il nome non deve trarre in inganno: la Notre Dame in questione si trova in Indiana). Il suo discorso è stato tenuto il 21 luglio ma se ne è avuta notizia solo ieri, quando la scuola ha pubblicato il video dell’intervento “prestigioso” ma affatto sponsorizzato in anticipo – quasi certamente per timore che il suo primo discorso pubblico dopo la sentenza venisse preso di mira dalle proteste.

CON LA BARBA di qualche giorno a dargli un’aria amichevole dopo che con un tratto di penna ha cancellato un diritto delle donne americane garantito da quasi 50 anni, Alito ha espresso il suo risentimento per l’ingerenza dei leader stranieri nelle decisioni della Corte, salvo poi non mostrare alcuna remora nel gettarsi in un attacco sarcastico nei loro confronti che potrebbe sembrare poco consono per un membro della più alta istituzione giudiziaria Usa. «Uno di questi è stato Boris Johnson, ma ne ha pagato il prezzo», ha detto al pubblico in visibilio, ironizzando sul fatto che il primo ministro britannico è stato appena silurato. «Ma altri sono ancora al loro posto: il presidente Macron (che aveva definito la sentenza «orribile», ndr), il primo ministro Trudeau», che aveva invece sostenuto compromettesse la libertà delle donne. «Ma ciò che mi ha davvero ferito è stato quando il Duca del Sussex (il principe Harry, ndr) ha parlato alle Nazioni unite ed è parso fare un paragone fra la decisione di cui non si può fare il nome con l’attacco russo all’Ucraina»: Harry aveva infatti parlato di «un anno doloroso» in cui oltre alla guerra c’è stata un’involuzione dei diritti costituzionali negli Usa.

LA DECISIONE di cui non si può fare il nome è naturalmente quella sull’aborto, alla quale questo passaggio del discorso di Alito è stato l’unico riferimento diretto e che non è mai stata menzionata. Ma che era presente, sotto forma di allusioni più o meno velate, in gran parte del suo intervento. Quasi una dichiarazione programmatica di intenti mascherata da apologia della libertà di religione, in cui tornavano molti dei temi cari al giudice a partire da originalismo e testualismo – le dottrine apprese dal “maestro” Antonin Scalia che vedono nella Costituzione un testo scritto nella pietra che va interpretato non alla luce del proprio tempo ma nel contesto della sua stesura. Che è poi il ragionamento principale attraverso il quale Alito nella sua opinione ha sostenuto che non esiste alcuna tutela costituzionale del diritto all’aborto. Nel suo discorso il giudice lo equipara anzi implicitamente a un “diritto” frivolo come indossare i colori e le insegne della propria squadra di football in una corte di giustizia, spiegando che mentre un avvocato ebreo potrà tenere la kippah e una legale musulmana il velo, il primo emendamento non estende questa libertà al tifo sportivo: ciò che conta è «ciò che la costituzione dice e ciò che non dice».

E ANCHE LA SUA DIFESA della libertà religiosa sembra ogni tanto scivolare su una sovrapposizione tout court con il cristianesimo. Ad esempio quando Alito racconta il suo shock davanti a un bimbo berlinese che non sapeva cosa fosse il crocifisso: «Un presagio di ciò che potrebbe accadere alla nostra cultura» in un Occidente sempre più secolarizzato che per il giudice è una vera e propria minaccia. Una sua affermazione – «per vincere la battaglia per proteggere la libertà religiosa in un mondo sempre più secolare avremo bisogno di qualcosa di più della legge positiva» – è sia una (agghiacciante) dichiarazione di intenti che un richiamo a ciò che gli oppositori dell’aborto da sempre sostengono sul diritto naturale del feto.

NELLO STESSO GIORNO in cui Alito faceva il suo intervento a Roma, la giudice Elena Kagan (una dei soli 3 dissidenti sulla sentenza che ha cancellato Roe v. Wade) ha detto durante un discorso in Montana che «sarebbe pericoloso per la democrazia» se i cittadini Usa perdessero la loro fiducia nella Corte a supermaggioranza conservatrice. I più recenti sondaggi condotti da Gallup evidenziano che solo il 25% degli statunitensi sostiene di riporre la propria fiducia nell’istituzio