Il giorno del Parlament. E dell’indipendenza?
Crisi catalana Oggi il presidente Puigdemont parla ai deputati. La Cup fa pressione per la dichiarazione unilaterale. Il partito di Rajoy alza il tiro
Crisi catalana Oggi il presidente Puigdemont parla ai deputati. La Cup fa pressione per la dichiarazione unilaterale. Il partito di Rajoy alza il tiro
Anche quella di oggi sarà una giornata chiave per capire cosa succederà nelle prossime settimane in quest’angolo d’Europa, che sembra iniziare a preoccupare ogni giorno di più le cancellerie del continente. Angela Merkel ha avuto un lungo colloquio con il suo socio Mariano Rajoy e con Juncker sabato scorso proprio per capire cosa sta succedendo.
Dopo che il Tribunale costituzionale, su richiesta dei socialisti catalani, ha annullato la seduta del Parlament prevista ieri, oggi alle sei è prevista una nuova seduta, stavolta con l’innocuo ordine del giorno «Comunicazioni del presidente». Ma la tensione è massima perché secondo la maggior parte degli osservatori oggi sarà impossibile per Carles Puigdemont evitare di fare quello che il suo governo promette da più di un anno: dichiarare l’indipendenza, come prescritto dalla legge sospesa dal Tribunale costituzionale (ma che gli indipendentisti continuano a considerare valida) dato che nel «referendum» dell’1 ottobre i Sì sono stati più dei No.
LA CUP NON HA DUBBI: «Abbiamo vinto il referendum e martedì dobbiamo applicare i risultati», ha detto il deputato cupaire Benet Salellas. E poi ha chiesto «scusa» ai cittadini perché «ci sono aspetti che non possiamo rendere pubblici, altrimenti il Psc (il Partito socialista catalano) li porterà al Tribunale costituzionale». Anche l’Associazione nazionale catalana (Anc) mette pressione al governo Puigdemont. Per le sei ha convocato una manifestazione sotto il Parlament «per avanzare al lato delle nostre istituzioni con determinazione, dignità e civismo».
L’hashtag scelto è, esplicitamente, #10ODeclaració: tutto un programma di quello che credono accadrà stasera.
Nelle stanze del potere catalano, certamente, le opinioni sono un po’ più sfumate, soprattutto fra le fila del Pdcat, il partito moderato da cui proviene lo stesso Puigdemont.
Significativamente, l’altra associazione indipendentista, Òmnium, più vicina al Pdcat, non ha detto ancora nulla. Ma non ci sono molte strade disponibili, a parte qualche soluzione democristiana, come una dichiarazione la cui efficacia si potrebbe poi sospendere, o una dichiarazione che entri però in vigore fra qualche mese. Il tutto per prendere un po’ di tempo. Già, perché anche i poteri economici cominciano a spingere fortissimo. Delle 35 principali aziende spagnole, ormai solo una ha sede in Catalogna (erano 7 la settimana scorsa): non che questo cambi gran che dal punto di vista pratico, ma il messaggio è molto esplicito. Il giornale della borghesia catalana, La Vanguardia, per quattro giorni di fila ha messo in prima pagina editoriali preoccupatissimi, il che per l’indipendentismo di destra è un colpo basso. Finora il quotidiano era stato un fedele alleato del Pdcat.
IL PARTIDO POPULAR del premier Rajoy, da parte sua, non abbandona il tono bellicoso e alza il tiro ancora di più. Il vicesegretario Pablo Casado è quello che l’ha sparata più grossa, e il peggio è che forse non se n’è neppure accorto. Ha paragonato quello che potrebbe succedere a Puigdemont a quello che successe all’ultimo presidente catalano che aveva dichiarato l’indipendenza, Lluís Company nel 1934: arrestato dai nazisti e fucilato dai franchisti. Paragone che ovviamente ha indignato la maggior parte dei catalani. Il deputato del Congresso di Esquerra Republicana Gabriel Rufián l’ha definito «miserabile» e la sindaca di Barcellona Ada Colau ne ha chiesto le immediate dimissioni. Casado si è scusato dicendo che non è uno storico e che lui si riferiva solo all’arresto. E comunque ha ribadito che, altro che mediazione internazionale: Rajoy nella riunione «ha detto che farà tutto il necessario, senza rinunciare a nessuno strumento che la Costituzione e il codice penale prevedono e che sarà sufficiente». E ha aggiunto: «Non abbiamo nulla da cedere né negoziare coi golpisti». Sarà la sospensione dell’autonomia con l’articolo 155 della Costituzione? Lo stato di emergenza? Lo stato di assedio? Nessuna di queste soluzioni sarà indolore, né per i catalani, né per il governo spagnolo.
TENTA DISPERATAMENTE la strada della ragionevolezza Ada Colau che ieri sera in una conferenza stampa ha chiesto a Puigdemont di non dichiarare l’indipendenza e a Rajoy di non applicare il 155, di ritirare la polizia e di sbloccare le finanze della Generalitat. «Non prendete nessuna decisione che renda difficile il dialogo».
I socialisti rimangono in difficoltà: Pedro Sánchez, senza dire esplicitamente che appoggerà l’applicazione del 155, ha chiarito che il Psoe «appoggerà lo stato di diritto contro la distruzione unilaterale della convivenza». Pablo Echenique di Podemos li ha accusati di essersi uniti «al blocco di ultra destra» e di stare «spingendo la Catalogna fuori dalla Spagna».
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